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L’usignolo e la rosa. Arte e cultura dall’Iran

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“L’usignolo e la rosa. Arte e cultura dall’Iran”

a cura di Stefano Russo

26 settembre – 2 ottobre 2009

Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma

Casali di Ponte di Nona
Via Raul Chiodelli, 105 – Roma

Dal 26 settembre 2009 la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma ospita nella sede dei Casali di Ponte di Nona l’evento L’usignolo e la rosa, manifestazione dedicata allo scambio culturale tra l’Italia e l’Iran, con l’intenzione di ampliare e consolidare l’amicizia tra i due Popoli e di promuovere lo sviluppo sostenibile mediante lo studio e la reinterpretazione in chiave contemporanea degli efficienti espedienti architettonici e dei materiali naturali tipici delle costruzioni dell’altopiano iranico.

L’usignolo e la rosa prevede un fitto programma di attività.

Sabato 26 settembre 2009 alle ore 16.00 si apre la manifestazione con l’inaugurazione della mostra fotografica “Volti dell’Iran. Il popolo dell’altopiano iranico” a cura dell’Associazione di volontariato ‘we have a dream’. Ritratti di bambini, donne e uomini che, colti nelle loro occupazioni quotidiane, ci sorridono attraverso l’obiettivo; un piccolo spaccato della vita quotidiana della gente dell’altopiano iranico.

La mostra vuole essere un invito alla riflessione e alla conoscenza di culture diverse dalla nostra, al di là della campagna mediatica che, in Occidente, mette l’accento solo su alcuni aspetti del Paese, spesso criminalizzando un intero popolo.

Segue l’apertura della mostra “Architettura sostenibile.
L’altopiano iranico fonte di civiltà e ispirazione”. L’esposizione, curata dall’arch. Stefano Russo, si propone di indagare l’architettura e l’urbanistica tradizionale persiana, alla scoperta degli accorgimenti che l’uomo nei secoli ha ideato per creare edifici confortevoli e infrastrutture funzionali in un territorio particolarmente difficile dal punto di vista climatico.

Attraverso fotografie, piante e disegni esplicativi viene illustrata un’architettura antica, ma oggi più che mai attuale dal punto di vista della sostenibilità e bioclimaticità. I visitatori potranno inoltre assistere alla proiezione del documentario storico “Sette volti di una civiltà”.

Il programma continua con un’intervista al documentarista iraniano Kamiar Faroughi, condotta dal giornalista Diego Santagata, e la proiezione del suo film “Nel cuore del Kavir”.

Seguirà un omaggio alla grande tradizione poetica persiana: sorseggiando tè, sarà possibile ascoltare dalle voci di Tajjebeh Taheri, in farsi, ed Enrico Petronio, in italiano, una selezione dei più bei componimenti di Ferdousi, Khayyam, Sa’di, Rumi, Hafez e Forugh Farrokhzad, accompagnati da brani di musica tradizionale eseguiti da Pejman Tadayon.

La giornata si chiude con il concerto del gruppo iraniano Nava’, la cui ricerca si situa a metà strada tra la tradizione classica persiana e quella delle musiche popolari iraniche, con particolare attenzione al repertorio dei brevi poemi musicati. I timbri strumentali, le melodie vocali, eseguite all’unisono con gli strumenti o in melismatici contrappunti, le ritmiche, spesso asimmetriche, conferiscono alla musica di Navà quell’atmosfera tipicamente persiana, unica nel contesto delle musiche orientali.

Lunedì 28 settembre 2009 alle 15.00 inizia un seminario sull’architettura sostenibile dell’altopiano iranico.

Intervento di apertura del prof. arch. Lucio Barbera, Preside della Facoltà di architettura “Ludovico Quaroni”, La Sapienza.

Relatori

arch. Maurizia Manara, libera professionista specializzata in urbanistica, archeologia e architettura iraniana. Consigliere della A.L.A. (Associazione Archeologica Lombarda) e docente presso la Fondazione Humaniter (corso di archeologia), dal 1990 membro della Missione Archeologica Italiana di Iasos (Turchia);

arch. Luciana Manzi, nata a Roma, dal 1991 vive e lavora, come libera professionista, a  Teheran;

prof. arch. Ahmad Sebt Hosseini, nato a Tabriz, oltre ad insegnare nelle facoltà di architettura e turismo di Teheran e Zahedan, si interessa all’architettura sostenibile da molti anni;

prof. arch. Mohammad Taghi Rezayee Hariri, membro del Gruppo Architetti, Paradiso delle Belle Arti, dell’Università di Tehran, dal 1970, nonché membro del consiglio Scientifico delle Ricerche Internazionali dell`Energia dal 1994, è uno dei massimi esponenti dell’architettura sostenibile in Iran e, oltre ad aver progettato diversi edifici sostenibili, è stato docente delle università di Teheran, Tabriz, Esfahan, Shiraz e Vienna;

arch. Rassul Heydarian, vive e lavora come libero professionista a Bushehr.

Coordina l’arch. Daniela Bianchi dello Studiobioarch.

Sarà rilasciato un attestato ai partecipanti che da’ diritto a crediti nelle facoltà universitarie aderenti.

Fino al 2 ottobre 2009 resteranno aperte le mostre “Architettura sostenibile. L’altopiano iranico fonte di civiltà e ispirazione” e “Volti dall’Iran. Il popolo dell’altopiano iranico”, e sarà proiettato il documentario sulla storia dell’Iran “Sette volti di una civiltà”.

Il pomeriggio dei giorni 30 settembre, 1 e 2 ottobre saranno organizzate dal curatore delle visite guidate alla mostra. Su prenotazione per minimo 10, massimo 25 persone.

Nel pomeriggio del 27 e 29 settembre e nella mattina del 1 ottobre saranno organizzate dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma delle visite guidate al sito archeologico della città di Gabii e di un’area di grande interesse archeologico, di recente scoperta, sita tra il V e il VII Municipio. Su prenotazione per minimo 25, massimo 50 persone.

Catalogo: Gangemi Editore

Info: info@wehaveadream.info, www.wehaveadream.info, www.studiobioarch.it

Ufficio stampa: ufficiostampa@wehaveadream.info

Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma  Casali di Ponte di Nona

Via Raul Chiodelli, 105 – Roma (uscita PONTE DI NONA della  A24 in direzione L’Aquila) Orario: 9.00 – 13.00, 16.00 – 18.30 – ingresso gratuito


UBS e l’egemonia del dollaro

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Osservando gli abissali deficit della bilancia commerciale e del bilancio di previsione degli Stati Uniti, molti economisti hanno annunciato una fine prematura del predominio del dollaro come moneta internazionale. Tuttavia, le cose sono in realtà più complesse. Il denaro non è solo una unità di conto ed uno strumento di riserva, ma anche un mezzo di azione, un segno del potere politico. È costitutivo della forma di Stato. Il dollaro non è solo la moneta dello stato nazionale statunitense, ma anche espressione della funzione “imperiale” di quest’ultimo.

Indebolito in termini strettamente economici, il dollaro è la forza politica dello stato nordamericano per cercare di mantenere le sue prerogative mondiali. È nell’ambito del mantenimento dell’egemonia del dollaro, che obbliga i capitali a investire nella propria zona economica, che si dovrebbe leggere la ristrutturazione del sistema finanziario internazionale attualmente in corso, di cui l’attacco contro la UBS Swiss Bank costituisce l’operazione principale.

UBS : cavallo di Troia del fisco USA

Il 19 agosto (2009) scorso, l’UBS e il fisco statunitense hanno firmato un accordo che temporaneamente mette fine alla questione dell’evasione fiscale che li opponeva. L’accordo consente alla banca di evitare un processo. Tuttavia, l’UBS deve consegnare i nomi di circa 4.450 titolari di conto di contribuenti americani sospettati di evasione fiscale. Questi dati saranno trasmessi per via ufficiale dell’assistenza amministrativa. Le autorità svizzere hanno in tal modo legalizzato il nuovo equilibrio di potere e il fisco americano ha ricevuto l’approvazione per indagare le altre banche svizzere. L’abolizione della distinzione frode/evasione fiscale, operata dal governo della Confederazione per uscire fuori dalla lista grigia dei paradisi fiscali elaborata dall’OCSE, offre nuove prospettive per le richieste delle amministrazioni fiscali estere. Le autorità svizzere cercano innanzitutto di evitare le reti da pesca, vale a dire ottenere informazioni sulla base di semplici sospetti e non su informazioni specifiche, come ad esempio i nomi degli evasori, le società coinvolte, i numeri dei conti … Tuttavia, a questo livello nulla è  definitivo. Infatti, dopo l’inizio di tale questione, tutto si gioca in funzione dei rapporti di forza.

In effetti, questo nuovo accordo tra l’UBS e l’amministrazione americana servirà come uno standard per definire le dimensioni della rete con cui il fisco americano andrà a pescare gli evasori, dapprima nella piazza finanziaria svizzera e poi in quelle dei paesi terzi.

L’accordo del febbraio 2009, con il quale la banca UBS ha inizialmente accettato, in violazione del diritto svizzero, di consegnare alla giustizia american il nome di circa 250 clienti, che aveva aiutato a sfuggire alle autorità fiscali degli Stati Uniti, non aveva fermato la giustizia statunitense. Non appena è stato firmato l’accordo quest’ultima ha richiesto chiesto alla UBS di consegnarle l’identità di circa 52 000 clienti statunitensi, titolari di “conti segreti illegali”. Il nuovo accordo sospende tali richieste. Ciò è, a prima vista e contro tutte le aspettative, particolarmente favorevole per la banca svizzera. L’UBS, che aveva già pagato una multa di $ 780 milioni nel mese di febbraio, non dovrebbe pagare ulteriori sanzioni. Si tratta di un eccezione alla prassi abituale del fisco americano. Fatto ancora più sorprendente: è previsto che, se dopo un anno, la banca non ha rispettato i suoi impegni, nessuna penalità finanziaria sarà adottata contro di essa. Questo atteggiamento del governo degli Stati Uniti può essere compreso se si ipotizza che l’imposta americana non voglia creare difficoltà finanziarie alla banca. Non c’è, infatti, alcun interesse a uccidere un cavallo di Troia, che fino ad oggi ha servito molto bene, e soprattutto che può ancora essere molto utile. L’UBS è molto dipendente dal mercato americano ed è quindi particolarmente vulnerabile alle pressioni del fisco USA. Questo è meno vero per le altre banche svizzere. I progressi di questo caso ci dice che dobbiamo quindi aspettarci ulteriori attacchi dagli Stati Uniti contro la piazza finanziaria svizzera.

Una riorganizzazione USA del sistema finanziario internazionale

L’azione del governo degli Stati Uniti contro la banca svizzera utilizza un’operazione contro l’evasione fiscale dei suoi cittadini per modificare, a suo vantaggio, le regole del sistema bancario mondiale.

La risposta positiva della UBS alle ingiunzioni del fisco USA, come la legittimazione della consegna delle informazioni fornite dalle autorità svizzere di vigilanza, pongono l’amministrazione statunitense in una posizione che le permette di fare sempre nuove richieste. La sovranità americana si definisce non solo come la capacità di sollevare l’eccezione e di stabilire uno stato permanente di emergenza ponendo sempre nuove richieste, ma soprattutto per stabilire la base su cui ricostruire un nuovo ordine giuridico internazionale.

La creazione di un puro equilibrio di potenza non è solamente una prima forma di azione. Le autorità statunitensi hanno poi la possibilità di far legittimare, dovunque, i nuovi diritti loro concessi.

Questa nuova sovranità americana è parte di una riorganizzazione del sistema finanziario internazionale in loro favore. Attraverso la lotta contro l’evasione fiscale, questa operazione distingue “paradisi fiscali”, di cui fa parte la Svizzera, i centri off-shore, di solito interamente controllati dalle autorità statunitensi, la cui  tecnica si basa sui “trusts”. Quest’ultimi, costosi da mettere in funzione, consentono una opacità fiscale molto più grande rispetto alla tecnica del segreto bancario.

La piazza elvetica detiene ancora il 27% del mercato off-shore, quello dei capitali posti al di fuori del loro paese d’origine. Essa, quindi, è il principale rivale dei centri finanziari anglo-sassoni. Gli attacchi contro gli svizzeri sono un modo per lottare contro il declino del dollaro, costringendo l’investimento dei capitali nell’area di questa moneta.

Il G20 di Londra (aprile 2009) ci mostrava tuttavia che la morsa degli Stati Uniti sul sistema finanziario internazionale è solo parziale. La piazza di Singapore, che è chiamata ad una crescita forte e in grado di recuperare una parte dei capitali che abbandonano la Svizzera, è riuscita a mantenere le sue prerogative contro l’offensiva degli Stati Uniti.

Jean-Claude Paye, sociologo, autore de La fine dello Stato di diritto. Manifestolibri.
Contributi pubblicati in Eurasia. Rivista di studi geopolitici:
Spazio aereo e giurisdizione statunitense (nr. 4/2007, pp. 109-113);
Gli scambi finanziari sotto controllo USA (nr. 1/2009, pp. 109-120).

Sette basi militari USA in Colombia

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Fonte: Mondialisation.ca 25 settembre 2009 L’aut’journal.info

Un accordo che sta per essere concluso con la Colombia presto consentirà agli Stati Uniti di occupare sette basi militari nel paese (due terrestri, tre aeree e due navali), site in punti strategici. Così Laranda e Apiay sono nella parte meridionale e orientale della regione amazzonica, vicino al confine con il Brasile e il Venezuela; Palenquero e Tolemaida sono al centro del paese, Malambo e Cartagena sono al nord, sul mar dei Caraibi, mentre la base navale di Malaga si trova sull’Oceano Pacifico. L’accordo prevede che 600 militari e 800 contractors effettuino operazioni di intelligence agli ordini di un colombiano. Ma questo  personale è coperto da immunità diplomatica e, in caso di crisi, il suo numero sarà illimitato.

Il Presidente Uribe presenta l’accordo come un’iniziativa del suo paese per combattere il traffico della droga e il “terrorismo” delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) mentre, denuncia la diplomazia brasiliana, egli non cessa di annunciare che la guerriglia è indebolita o quasi annientata. “O ha mentito su questo punto“, ha detto il giornalista Maurice Lemoine de Le Monde diplomatique, “o l’obiettivo USA-Colombia è molto più ampio; entrambe le ipotesi si completano a perfettamente“. In effetti, molte delle ragioni permettono di non credere al tandem Washington-Bogotà, quando afferma che i paesi confinanti non devono temere di avere una presenza militare statunitense vicina a essi. La ragione principale è che, sostenuta da quello che Lemoine chiama “maccartismo mediatico”, “gli Stati Uniti e la Colombia sono già al lavoro per stabilire chi è, nella regione, un terrorista e chi è un trafficante di droga“.

Senza preoccuparsi di alcuna prova seria, entrambi i paesi continuano ad accusare il presidente Chavez fi rifornire di armi i guerriglieri colombiani e di aprire la strada al traffico di droga in America Centrale. Accusano, inoltre, il presidente dell’Ecuador di aver accettato finanziamenti delle FARC per la sua campagna elettorale e di avere reso il suo paese un “santuario” per le stesse FARC. Queste menzogne, dice Lemoine, “screditano, ogni giorno un po’ più, i governi dell’ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe, formata tra gli altri da Cuba, Venezuela, Nicaragua, Ecuador e Bolivia), agli occhi dei ‘opinione pubblica internazionale’.” “Nel caso di un tentato colpo di stato, o di destabilizzazione, che li riguardassero, sarà molto più facile trasformare gli aggressori in vittime, per giustificare il rovesciamento di quei presidenti che disturbano.”

Sul quotidiano messicano La Jornada (14 agosto), l’influente giornalista uruguayano Raul Zibechi scrive che l’arrivo delle basi del Southern Command in Colombia, e il ripristino della Quarta Flotta USA lungo le coste dell’America Latina, mostrano “che è iniziata una nuova fase della battaglia per il controllo dell’America Latina”.Mutando il capitale produttivo in capitale finanziario, dalla metà degli anni 1970, ricorda Zibechi, il capitalismo ha abbandonato la produzione di massa, come l’asse di accumulazione del capitale ed è entrato in una nuova fase di accumulazione, dell’esproprio, che è sempre meno compatibile con la democrazia.” Africa e America Latina sono soggette ad una concorrenza agguerrita per la proprietà dei loro beni comuni, acqua dolce, biodiversità, minerali, combustibili fossili e terreni agricoli per produrre biocarburanti. In America Latina, i paesi più grandi (Argentina, Brasile, Venezuela) stabiliscono partnership economiche con i paesi asiatici ed altre potenze emergenti, in aggiunta alle transazioni in valuta diversa da quella statunitense. Per gli Stati Uniti, scrive Zibechi, bisogna affrontare “l’alleanza strategica tra Cina e Brasile, che esiste dal 1990, ben prima dell’arrivo al potere di Lula“. Ma venti anni fa, la Cina era solo il 12° partner commerciale in America Latina, con un fatturato di poco più di otto miliardi di dollari. 2007, si classifica al secondo posto con un valore di oltre 100 miliardi di dollari. Quest’anno, la Cina è diventata il principale partner commerciale del Brasile, prima degli Stati Uniti, e ha anche rafforzato i suoi legami con il Venezuela, Ecuador e Argentina. La recente offerta di 17 miliardi di dollari della compagnia petrolifera cinese, CNOOC, per acquisire l’84% delle argentina Repsol YPF, è il più grande investimento mai realizzato all’estero da parte della Cina.

Marcelo Gullo e Carlos Alberto Pereyra Mele esperti di geopolitica brasiliani, credono che il tempo della sola superpotenza mondiale è finita, e oggi gli Stati Uniti non hanno altra scelta che diventare una potenza regionale:

La crisi che questo paese attraversa, scrivono, è strutturale e non congiunturale, perché per la prima volta dal 1970, gli interessi della borghesia e del governo degli Stati Uniti sono divisi. Il passaggio della produzione verso l’Asia, ha lasciato il paese deindustrializzato, senza sufficiente lavoro da offrire e con 40 milioni di poveri“. Inoltre, Gullo dice: “Washington ha fallito nelle sue principali strategie, espellere Cina dall’Africa o impedire l’alleanza tra Russia e Europa occidentale.” Gli Stati Uniti devono quindi ripiegare sull’America Latina per farne la loro zona di influenza esclusiva. Ecco perché sono sbarcati in Colombia, che per loro ha una grande importanza geopolitica.

La Colombia ha coste su due oceani ed è confinante con il Venezuela, che fornisce agli Stati Uniti il 15% del loro petrolio, e con l’Ecuador, altro paese petrolifero, da due delle sue basi militari, Washington avrà accesso al più importante passaggio commerciali nel mondo, il Canale di Panama. Ma ha anche molte isole nei Caraibi e la foresta amazzonica occupa gran parte del suo territorio. Infine, il commercio di droga genera guadagni astronomici e chi controlla il paese, controlla anche questo commercio.

Per affrontare  l’Unione europea, la Cina e la Russia, anticipa Pereyra Mele, Washington deve ora “farla finita con il Brasile, che rappresenta il maggiore potenziale di resistenza della regione, che ha all’origine d’iniziative come l’integrazione regionale“. La strategia degli Stati Uniti è quella di ottenere “la resa della potenza nazionale del Brasile“, tracciando una cordone sanitario militarizzato attorno al Brasile, partendo dalla Colombia e, quindi, passando per la Bolivia e il Paraguay.

Entrambi gli esperti concordano sul fatto che “l’America Latina deve reagire rafforzando i suoi accordi regionali come il Mercosur e l’UNASUR, per evitare le divisioni e controllare le turbolenze interne (ad esempio il golpe in Honduras), che rendono possibile l’espansione militare statunitense nella regione.” “L’America Latina, afferma Pereyra Mele, deve difendere prioritariamente l’unità attorno ai suoi tre sistemi idrici più importanti (l’Orinoco, il Rio delle Amazzoni e il bacino del Guarani) e creare un complesso militare-industriale Argentino-Brasiliano, per migliorare le proprie capacità della difesa, senza dipendenze esterne. Ma la responsabilità primaria, davanti alle sfide da affrontare, incombe sul Brasile, perché è la potenza relativa della regione.”

Il problema, dice Gullo, è che la classe dirigente brasiliana non capisce bene che, per resistere all’aggressione degli Stati Uniti, abbiamo bisogno di partner forti, che ciò che conta non è l’industrializzazione isolata del Brasile, ma quella di tutta l’America del sud”.

Andre Maltais è un assiduo collaboratore di Mondialisation.ca.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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Le forze armate statunitensi sulla strada della bancarotta

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Fonte: Bloc-Notes 23 Settembre 2009 http://www.dedefensa.org

Thompson, quando non è sollecitato oltre misura dai suoi legami con i suoi vari ingombranti sponsor del complesso militare-industriale, ci può dare interessanti informazioni e riflessioni su questi dettagli. L’ha fatto il 22 Settembre 2009, sul sito dell’Istituto Lexington, che co-dirige, a proposito della situazione delle forze armate statunitensi, riguardo al loro status di esercito professionale (“All Volunteer Force”).

Ciò che Thompson evidenzia, sono i costi straordinari di questo esercito a livello del personale. Un soldato dell’U. S. Army, al minimo, costa poco più di 100.000 dollari all’anno, presso il Dipartimento della Difesa, e ancora con certe altre spese nascoste, e questo è indicativo di una tendenza, in quanto vi è stato un aumento dei costi del 55%, negli ultimi dodici anni. Questa tendenza è rappresenta anche l’inflazione nell’equipaggiamento di protezione e delle turnazioni accelerate, l’appesantimento dei compiti istituzionali dei soldati, gli assetti sociali resi necessari dalle pressioni esterne, ecc. tutto i conformità al decadimento del sistema burocratico. (Esistono ancora molti “buchi neri” in questa situazione, che riflettono le inefficienze e gli sprechi della spesa. Il sistema ospedaliero e il trattamento dei disturbi psicologici causati dai combattimenti, sono in uno stato deplorevole, come molti scandali hanno dimostrato.)

Ho scritto un saggio su questo argomento, sul numero attuale dell’Armed Forces Journal. Si basa sul lavoro dell’analista del Congressional Research Service, Stephen Daggett, dell’ex capo contabile del Pentagono Dov Zakheim e di altri, per dipingere un quadro allarmante delle tendenze del personale della difesa. Sul valore costante del 2009 dei dollari, il costo medio di ogni combattente è aumentato del 45% negli ultimi dodici anni – da 55000 a 80000 dollari. Quando le crescenti spese sanitarie militari (fino al 150% in questo decennio) vengono addizionate a questa cifra base, il costo attuale di ogni combattente balza al di sopra dei 100000 dollari all’anno. E ciò prima che il costo dell’addestramento e dell’equipaggiamento dei combattenti per fare il loro lavoro, sia preso in considerazione! Quando l’insieme di tutti gli esborsi necessari per mettere in campo un soldato o aviatore tipo, viene calcolato, diventa evidente che l’All-Volunteer Force è astronomicamente, assurdamente, costosa.

“Uno dei motivi per cui i politici non sono riusciti a cogliere questa crisi incombente, è che il bilancio della difesa non è organizzato per conteggiare a pieno gli oneri del costo del personale. Ad esempio, il budget di riferimento per l’anno fiscale 2010 (non contando le spese di guerra annesse) calcola 136 miliardi di dollari per “il personale militare” – molto più dei 107 miliardi assegnati agli appalti pubblici, ma notevolmente inferiore ai 186 miliardi accantonati per le operazioni e la manutenzione (O&M). Ciò di cui molte persone non si rendono conto, tuttavia, è che oltre la metà del bilancio O&M è anch’essa connessa alle spese del personale, come ad esempio le spese per l’assistenza sanitaria ai militari e le paghe per i dipendenti civili delle forze armate. Il corso reale dell’aumento dei costi O&M nel bilancio ordinario della difesa non è dovuta “all’aumento delle operazioni”, come spesso si presume, all’aumento dei costi del personale.”

Thompson ritiene che questa sia una situazione insostenibile, alla lunga, per gli Stati Uniti, soprattutto se si impone un bilancio della difesa che non è più accettabile in relazione ai mezzi finanziari degli Stati Uniti, in tempo di crisi: “Da quando è iniziato il decennio in corso, l’economia americana è scesa da circa un terzo a un quarto della produzione mondiale. In altre parole, il 5% della popolazione mondiale sta generando il 25% della produzione globale, mentre cerca di sostenere il 50% della spesa militare. Questi numeri non tornano: le spese per la difesa dovranno essere più strettamente allineate alle risorse del bilancio, nei prossimi anni, e dovranno essere giustificate, altrimenti avremo la bancarotta del Tesoro e ci giocheremo il nostro futuro“.

Quale soluzione preconizza Thompson? Si trova la solita quadratura del cerchio del sistema USA. Non si tratta affatto di un ritorno alla coscrizione obbligatoria, perché – Thompson non l’ha detto, ma lo diciamo noi per lui – è troppo pericolosa per la politica di sicurezza nazionale di un sistema che inanella una guerra impopolare dopo l’altra, e gli Stati Uniti non vogliono subire contraccolpi a livello nazionale, come durante il disastro del Vietnam. Allora, che fare? Cosa? Ridurre i costi del personale. (“La risposta non è un ritorno alla leva obbligatoria, ma frenare l’aumento dei compiti a carico degli effettivi in servizio e smettere di sognare nuovi vantaggi militari come se fossero i nastrini delle campagne militari.”) Vale a dire, chiedere al Pentagono di ridurre le spese e spendere meglio …

Buona fortuna, Loren B.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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I mercenari cubani della Casa Bianca

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Fonte: http://www.voltairenet.org/article162148.html 27 settembre 2009

Salim Lamrani ha recentemente pubblicato “Cuba, quello che i media non vi diranno mai”, una raccolta di articoli scritti negli ultimi cinque anni. Esamina, sistematicamente, tutti gli argomenti utilizzati dalla propaganda statunitense per giustificare a posteriori l’embargo unilaterale imposto da Washington, in violazione del diritto internazionale. Questa panoramica fornisce una misura di quanto i critici del governo rivoluzionario siano irreali. Un’appendice storica sottolinea anche la continuità dell’atteggiamento dei successivi governi degli Stati Uniti, indipendentemente  dall’alternarsi di facciata tra democratici e repubblicani.

Ci dispiace la mancanza di un indice che avrebbe permesso di usare questo libro come una enciclopedia, in ogni caso la completezza e l’accuratezza della sua tesi lo rendono un libro di riferimento per tutti coloro che desiderano esplorare questo tema.

Riportiamo qui un estratto sui dissidenti più famosi, messi in scena dalla Casa Bianca.

Conferenza stampa dei dissidenti a Cuba, presso la residenza dell’incaricato d’affari degli Stati Uniti a L’Avana. (Da sinistra a destra: Manzano, Bonne, Roque e Roca).

L’opposizione cubana dispone di uno status speciale. Da un lato, è molto apprezzata dalla stampa occidentale. Infatti, nessun gruppo di dissidenti in America Latina, tranne forse l’opposizione venezuelana, gode di tale aura mediatica. Dall’altra parte, essa riceve  finanziamenti enormi dagli Stati Uniti, di cui i media tacciono, e gode di una libertà d’azione che scandalizzerebbe i pubblici ministeri di tutto il mondo.

Il 21 giugno 2007, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha deciso di votare un bilancio di 45,7 milioni di dollari per il 2007-2008, presentato dal presidente Bush, destinato ai dissidenti cubani. Così, 254 delegati, di cui 66 Democratici, hanno sostenuto la strategia della Casa Bianca, volta a rovesciare il governo cubano. Il legislatore della Florida, Lincoln Diaz-Balart, un diretto discendente dell’ex dittatore Fulgencio Batista, ha accolto con favore tale aiuto. “Questa vittoria costituisce un sostegno all’opposizione politica interna” Cubana, ha detto. “L’assistenza ai dissidenti non è simbolica, ma concreta”, ha aggiunto. Ha anche pubblicato una lettera da parte di alcuni importanti dissidenti cubani, che sostengono che gli aiuti degli Stati Uniti sono “vitali per la sopravvivenza di attivisti [1]”.

Per il periodo 2007-2008, l’Assemblea ha inoltre assegnato una somma di 33,5 milioni di dollari (6 milioni in più rispetto al 2006) a Radio e TV Martí. Questi due media statunitensi trasmettono illegalmente messaggi sovversivi nei confronti di Cuba, al fine di incitare la gente a rovesciare l’ordine costituito [2].

Quello stesso giorno, 21 giugno 2007, il capo della diplomazia degli Stati Uniti a L’Avana, Michael Parmly, ha ricevuto in pompa magna i celebri dissidenti René Gómez Manzano, Félix Bonne, Martha Beatriz Roque e Vladimiro Roca, nella sua sontuosa residenza personale. Questi ultimi erano venuti a ringraziare il loro apprezzato mecenate, per la sua generosità [3].

I media occidentali, pure così prolifici per quanto riguarda Cuba, sono rimasti stranamente in silenzio su questi due eventi. Le ragioni sono relativamente semplici. I personaggi che si sforzano di presentare da anni come attivisti coraggiosi, in cerca di democrazia, sono in realtà dei volgari mercenari che si vendono al miglior offerente. Il termine mercenario non è una parola fuori luogo o esagerata. Secondo il Littré, si tratta di coloro “che lavorano per soldi, di chi fa tutto ciò che desidera per soldi”[4]. Manzano, Good, Roque e Roca rientrano pienamente in questa definizione.

Eppure non vi è nulla di nuovo in tutto questo. Da  decenni gli Stati Uniti cercano, con ogni mezzo, di creare e dirigere un’opposizione interna a Cuba, per liquidare il processo rivoluzionario cubano. Gli archivi americani sono eloquenti a questo proposito. Inoltre, molti documenti americani, ufficiali e pubblici, attestano una realtà che nessun analista politico e giornalista degno di questo nome può ignorare. La Legge Torricelli del 1992, in particolare il paragrafo 1705, afferma che “gli Stati Uniti forniranno assistenza alle organizzazioni non governative, per sostenere gli individui e le organizzazioni che promuovono un cambiamento democratico non violento a Cuba” [5]. La legge Helms-Burton del 1996 prevede, nell’articolo 109, che “Il presidente [Usa] è autorizzato a fornire assistenza e offrire sostegno alle persone e alle organizzazioni non governative indipendenti, per sostenere gli sforzi per costruire la democrazia a Cuba [6]”.

La prima relazione della Commissione di Aiuto ad una Cuba Libera, approvata il 6 Maggio 2004, prevede l’istituzione di un programma di “un solido programma di supporto alla promozione della società civile cubana“. Tra le misure raccomandate, un finanziamento pari a 36 milioni di dollari, destinato a “sostenere l’opposizione democratica e il rafforzamento della società civile emergente [7].” La seconda relazione della stessa Commissione, pubblicata il 10 luglio 2006, fornisce anche un bilancio di 31 milioni di dollari per finanziare soprattutto l’opposizione interna [8].

Nel 2003, la giustizia cubana aveva condannato 75 persone, stipendiate dagli Stati Uniti, suscitando la condanna dei media internazionali. In qualsiasi altro paese al mondo, persone come Manzano, Good, Roque Roque, oggi si troverebbero dietro le sbarre [9]. Ricardo Alarcón, presidente della Assemblea Nazionale cubana ha messo in guardia i membri della “dissidenza“, dicendo che coloro che cospirano con Washington e accettano i suoi emolumenti dovranno “pagarne le conseguenze [10].”

Finché questa politica esisterà, ci saranno persone che si troveranno coinvolte [...]. Esse cospireranno con l’America del Nord [e] ne accetteranno il denaro. Questo è un crimine secondo il diritto cubano. Io non conosco alcun paese che non qualifichi tale attività come un crimine“, ha sottolineato Alarcón. “Immaginate che qualcuno negli Stati Uniti sia sostenuto, addestrato, equipaggiato e consigliata do un governo straniero. Questo è un crimine in sé. Si tratta di un reato molto grave negli Stati Uniti, e che può costare molti anni di prigione, molto più di quanto si possa rischiare qui a Cuba“, ha concluso [11].

È lo stesso in Francia, come prevede l’articolo 411-4 del codice penale, e un caso che si è verificato nel 2004, illustra in modo eloquente questa realtà. Il 28 Dicembre 2004, le autorità francesi hanno arrestato Philippe Brett e Philippe Evanno, due dipendenti del signor Julia. Avevano dato origine a un tentativo fallito per liberare i due ostaggi francesi in Iraq, Christian Chesnot e Georges Malbrunot, nel settembre 2004. Queste due persone sono state accusate di “intelligenza con una potenza straniera, tale da compromettere gli interessi fondamentali della nazione“. Essi sono stati presentati ai giudici della lotta contro il terrorismo Jean-Louis Bruguiere e Marie-Antoinette Houyvet, che si occupano dei casi legati alla sicurezza dello Stato. Erano stati accusati di aver preso contatto con la resistenza irachena e di aver ricevuto assistenza logistica dalla Costa d’Avorio. Brett e Evanno erano passibili di dieci anni di carcere e di 150000 euro di multa. Il signor Julia è sfuggito alla giustizia attraverso la sua immunità parlamentare. La gravità delle accuse contro di loro non hanno suscitato alcuna emozione nella stampa occidentale [12].

La relazione del 2006 prevede anche 24 milioni di dollari aggiuntivi per Radio e TV Martí, per amplificarne la trasmissione dei programmi sovversivi a Cuba, in violazione del diritto internazionale. I membri della “dissidenza” cubana dispongono di parte di questo denaro, per acquistare e distribuire apparecchi radiofonici e televisivi per ricevere i programmi trasmessi dagli Stati Uniti. Altri paesi sono invitati a trasmissioni sovversive verso Cuba. La relazione prevede inoltre “la formazione e l’equipaggiamento di giornalisti indipendenti nella stampa, radio e televisione, a Cuba [13]”.

La stampa occidentale ha censurato questa realtà, aveva bollato le azioni delle autorità cubane, denunciando le sanzioni contro “gli attivisti pacifici e i giornalisti indipendenti”. Secondo essa gli imputati sono stati puniti per aver apertamente espresso il loro disaccordo con la linea ufficiale e di aver pubblicato articoli diffamatori sulla stampa di estrema destra di Miami [14].

Soffermiamoci un attimo su queste accuse. I due cubani “dissidenti” che dispongono dell’influenza mediatica più grande a livello internazionale, che lanciano le invettive più aspre contro la Rivoluzione cubana e che godono del sostegno più marcato degli estremisti di origine cubana di Miami, sono Oswaldo Paya e Elizardo Sánchez [15]. Contro di loro, Raúl Rivero passa per un oppositore relativamente moderato e timido [16]. Ma era stato condannato a vent’anni di reclusione. Payá Sánchez non hanno avuto problemi con la legge, mentre i loro scritti politici sono molto più virulento di quelli di Rivero. La spiegazione è abbastanza semplice: Payá e Sánchez hanno finora rifiutato il finanziamento generosamente fornito da Washington, mentre Rivero ha commesso l’errore di approfittare della generosità della amministrazione Bush. E per questo motivo che è stato condannato, non per una produzione letteraria o politica presunte eterodosse.

Integrarsi nel mondo del “dissenso” è un mestiere redditizio. I benefici economici di questa professione sono coerenti e attizzano l’avidità di individui senza scrupoli. Le 75 persone condannate non esercitavano alcun lavoro e vivevano sugli emolumenti offerti da parte delle autorità degli Stati Uniti, in cambio del lavoro svolto. Gli stipendi notevoli, per il livello di vita della società cubana, hanno portato alcune persone ad accumulare fortune personali di discrete dimensioni, per un importo di 16000 dollari in contanti, mentre il salario medio è tra i quindici e i venti dollari al mese [17]. Conducevano così uno stile di vita ben superiore a quello dei cubani, e inoltre  beneficiavano pure dei privilegi senza precedenti forniti dal sistema sociale cubano.

Per valutare correttamente l’importanza di una tale somma, ci si deve richiamare al valore dollaro a Cuba. Con l’equivalente di un dollaro, un cubano può permettersi di comprare centoquattro litri di latte, quarantacinque chili di riso, ventisei biglietti per le partite di baseball, tra cinque e ventisei posti in teatro o al cinema, 5200 kilowatt di energia elettrica o cinque corsi televisivi d’inglese, di centosessanta ore ciascuno. Tutti gli altri prodotti alimentari di base (pane, fagioli, olio) sono nello stesso ordine di prezzi. A ciò si aggiungano i servizi educativi e sanitari gratuiti. Dato che l’85% dei cubani è proprietario dei loro alloggi, non pagano affitto. Inoltre, l’imposta non esiste a Cuba. Altra cosa unica al mondo: le medicine acquistate nelle farmacie oggi, costano due volte meno di quelle che venivano acquistate cinquanta anni fa [18]. Tutti ciò è possibile grazie alle sovvenzioni concesse annualmente dallo Stato cubano, così diffamato dai dissidenti stessi che non mancano di approfittare delle favorevoli condizioni di vita offerte dalla società cubana.

Dopo l’intervento diplomatico della Spagna, diversi detenuti dal marzo 2003, compresi Raúl Rivero, sono stati liberati alla fine del novembre 2004, per motivi umanitari [19]. Va notato che Rivero ha beneficiato della mediatizzazione internazionale solo perché era con Oscar Elias Biscet, l’unica persona in carcere su 75 che ha effettivamente lavorato come giornalista. Il suo caso è interessante in quanto mette in luce la portata della campagna di disinformazione lanciata contro Cuba. In un’intervista con Reporters Sans Frontières, Blanca Reyes, moglie di Rivero, ha detto che era in “disumane e inaccettabili condizioni di detenzione“. Ha aggiunto, nella stessa occasione, che aveva perso quaranta 19,5 kg di peso. “[E’] affamato. Voglio fare sapere alla gente [che] Raúl Rivero soffre la fame“, ha lamentato in un impeto melodrammatico di circostanza [20]. Questa informazione è stata ripresa in grande pompa da tutta la stampa internazionale.

Tuttavia, una volta liberato dal carcere, Rivero è apparso in ottima salute, con un sovrappeso significativo, come illustra la foto ripresa dalla stampa e come non hanno mai cessato di proclamare le autorità cubane [21]. Mentre Washington e i suoi relè denunciato con notevole copertura mediatica le “condizioni di vita terribili” dei detenuti, Rivero stesso ha confessato di aver avuto libero accesso alla lettura e con entusiasmo ha divorato l’ultimo romanzo dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez, Historias de mis putas tristes, un’opera difficile da trovare nelle librerie francesi, al momento [22]. Rivero non ha vissuto in un albergo a quattro stelle, certo, ma non in un gulag “tropicale“, come alle anime belle piace chiamare le prigioni cubane, come se i penitenziari del resto del mondo siano dei resort [23].

Senza dubbio, la prigione di Abu Ghraib in Iraq, dove la tortura di prigionieri di guerra è stata istituzionalizzata da Washington, sono più comode. Che dire delle celle di Guantanamo, zona senza legge dove la tortura applicata ai prigionieri è tale che molti tentativi di suicidio si sono verificati presso persone assai devote, nonostante il fatto che porre fine alla propria vita sia il peccato peggiore [24]? In ogni caso, pochissimi reclusi possono vantare di avere accesso all’ultimo romanzo di García Márquez, prima ancora di qualche libreria specializzata europea.

Armando Valladares, ex-poeta ed ex-paralitico, è ora anche ex-presidente della Human Rights Foundation, da cui si è dimesso per sostener i golpisti honduregni.

La storia di Armando Valladares, il poeta “paralitico condannato per reati di opinione“, secondo la propaganda di Washington, è istruttiva. Arrestato nel 1960 per terrorismo, questo ex poliziotto della dittatura di Batista, ricevette il sostegno di una vasta campagna internazionale lanciata dall’estrema destra cubana della Florida, negli anni ’80. Dopo le trattative condotte dal governo francese di François Mitterrand, sotto gli auspici di Regis Debray, il prigioniero è stato liberato e ha perso, al tempo stesso, il suo talento sia di poeta che la sua emiplegia. Al contrario, ha conservati con cura le sue doti di attore e, dopo aver ottenuto la cittadinanza americana, si arruolò nel governo di Ronald Reagan, diventando ambasciatore alle Nazioni Unite. Seccato, Regis Debray ha scritto nel suo libro Les Masques: “l’uomo non era un poeta, il poeta non era paralizzato e adesso il cubano è un americano [25].”

Luis Ortega Sierra è un giornalista cubano, che andò in esilio negli Stati Uniti nel 1959, al trionfo della Rivoluzione. Si tratta di un fiero oppositore del governo di L’Avana, come illustrato dai suoi scritti. Era legato all’ex dittatore cubano Fulgencio Batista, che finanziava le sue attività. In una lettera del 22 settembre 1961 all’ex uomo forte di Cuba, Ortega aveva espresso la sua “simpatia” e “ammirazione” per lui [26].

A proposito di dissidenti cubani, Ortega ha detto la cosa seguente:

“I dissidenti a Cuba sono persone senza importanza politica, e tutti sono d’accordo, anche quelli che vivono a loro spese. Sono dei burattini della mafia di Miami. Sono al servizio della Sezione d’Interessi degli Stati Uniti che li sballotta da un posto all’altro [...]. Si tratta di persone che ricevono uno stipendio e l’orientamento ideologico dal governo americano. Non è un segreto per nessuno. È il governo degli Stati Uniti che concede il denaro per finanziare le attività di questi signori sull’isola. Pensare che questo elemento possa essere un potente movimento di opposizione al governo, è un errore [27].”

Se l’Iran o la Cina finanziassero i dissidenti negli Stati Uniti, Regno Unito o Francia, questi ultimi cadrebbero immediatamente sotto i colpi della legge. Se i media occidentali fossero intellettualmente liberi, userebbero solo un unico termine per riferirsi a coloro che si presentano come oppositori del governo cubano: mercenari.

Salim Lamrani

Insegnante, docente presso l’Università Paris Descartes e Paris-Est Marne-la-Vallee. Ultimo libro pubblicato: Cuba. Ce Que les Medias Ne Vous Diront Jamais , Estrella (2009).

Questo articolo è estratto da Cuba. Ce que les médias ne vous diront jamais.

Prologo di Nelson Mandela. Paris, Editions Estrella, 2009 (300 pagine, 18 €)

Per ordinare, si prega di contattare l’autore: lamranisalim@yahoo.fr

Note

[1] Wilfredo Cancio Isla, «La Cámara da sólido apoyo a la democracia en Cuba», El Nuevo Herald, 22 giugno 2007.

[2] Ibid.

[3] Andrea Rodriguez, «Disidentes cubanos usan casa de diplomático de EEUU», The Associated Press, 21 giugno 2007.

[4] Le Littré, V. 1.3.

[5] Cuban Democracy Act, Titre XVII, Section 1705, 1992.

[6] Helms-Burton Act, Titre I, Section 109, 1996.

[7] Colin L. Powell, Commission for Assistance to a Free Cuba, (Washington: United States Department of State, maggio 2004) pp. 16, 22.

[8] Condolezza Rice & Carlos Gutierrez, Commission for Assistance to a Free Cuba, (Washington: United States Department of State, luglio 2006), p. 20.

[9] Salim Lamrani, Fidel Castro, Cuba et les Etats-Unis (Pantin: Le Temps des Cerises, 2006).

[10] BBC, «Cuba Warns Dissidents Over US Aid», 12 luglio 2006.

[11] Ibidem.

[12] Salim Lamrani, Fidel Castro, Cuba et les Etats-Unis, op. cit.

[13] Condolezza Rice & Carlos Gutierrez, op cit., p. 22.

[14] Reporters sans frontières, “Un anno dopo l’arresto di 75 dissidenti, Reporters sans frontières mobilita l’Europa contro la repressione a Cuba“, 18 marzo 2004.

[15] Oswaldo Paya, «Mensaje de Oswaldo Paya Sardiñas a Vaclav Havel, Presidente de la República checa en su visita a la ciudad de Miami, Florida», 7 ottobre 2004.

[16] Raúl Rivero, «El cartel del queso blanco», Luz Cubana, gennaio/febbraio 2003, n. 1: 9-10.

[ 17 ] Felipe Pérez Roque, «Conferencia a la prensa nacional y extranjera», MINREX, 25 marzo 2004 : 5-7.

[18] Governo Rivoluzionario di Cuba, “Documenti“, Aprile 18, 2003. (sito consultato il 2 dicembre 2004).

[19] Andrea Rodríguez, «En libertad el poeta y disidente cubano Raúl Rivero», El Nuevo Herald, 30 novembre 2004.

[20] Reporters sans frontières, «La mujer del periodista encarcelado Raúl Rivero denuncia unas condiciones de detención ‘inaceptables’», 5 agosto 2003.

[21] Nancy San Martin, «Cubans Tell Rivero to Consider Leaving», The Miami Herald, 1 dicembre 2004.

[22] Wilfredo Cancio Isla, «Un símbolo en libertad», El Nuevo Herald, 1 dicembre 2004.

[23] Olivier Languepin, «Dans les prisons de Castro», Le Monde, 31 dicembre 2004.

[24] Robert Scheer, «A Devil’s Island for Our Times», Los Angeles Times, 28 dicembre 2004.

[ 25 ] Gianni Miná, Un Encuentro con Fidel (La Havana: Oficina de Publicaciones del Consejo de Estado, 1987), pp. 43-60; Jean-Marc Pillas, Nos Agents à La Havane. Comment les Cubains ont ridiculisé la CIA (Paris: Albin Michel, 1995), pp. 145-51.

[26] Ivette Leyva Martínez, «Despierta singular interés vida y obra de Batista», El Nuevo Herald, 3 maggio 2008.

[27] Luis Ortega Sierra, «Fidel rebasó la historia», in Luis Báez, Los que se fueron (La Havana: Casa Editora Abril, 2008), p. 221.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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IEMASVO: iniziano i corsi di lingua araba

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Istituto Enrico Mattei di Alti Studi sul Vicino e Medio Oriente
I.E.M.A.S.V.O – Via di Grottarossa 55, 00189 Roma

Riconosciuto ai sensi del D.P.R. 361/2000
Iscrizione Registro Prefettura di Roma n. 589/2008

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Dove va il mondo?

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La maggiore intelligibilità dei grandi rivolgimenti geopolitici che si stanno dipanando sotto i nostri occhi, oltre il loro impatto di “superficie”, passa dalla calibrazione di opportuni strumenti di osservazione e di interpretazione della fase storica, grazie ai quali saremo in grado di leggere, con meno incertezza, il dipanarsi degli eventi davanti a noi.

In questo momento l’analisi teorica e la ricerca scientifica devono essere ben puntate su quella sfera sociale nella quale i cambiamenti stanno originandosi. È in quest’ultima che “precipitano” quegli avvenimenti dirompenti che, a breve, potrebbero trasfigurare la morfologia dell’intero mondo capitalistico rendendolo irriconoscibile al vecchio sguardo.

Il motore della storia si è rimesso in moto nella sfera politica ed è da essa che oggi si diramano gli impulsi trasformativi che poi si estendono via via a tutti gli altri ambiti sociali.

In una frase di V. Putin, pronunciata nel 2000, con riferimento alla situazione del suo Paese, ma che va estesa ad ogni singola formazione sociale, viene chiarito più che mai il quadro sociale generale: “la chiave della rinascita e del rinnovamento della Russia si trova nella sfera [geo]politica”.

La partita si gioca a questo livello, cioè al livello del conflitto mondiale per gli spazi di “sopravvivenza” e di “sicurezza” che sta accelerando il processo di dissolvimento dei precedenti equilibri sistemici. Abbiamo già descritto questa fase come passaggio dall’unipolarismo, caratterizzato dall’assoluto predominio statunitense, al multipolarismo, contrassegnato dal recupero in potenza di alcuni paesi che si accreditano quali possibili concorrenti degli Usa, fino al prossimo policentrismo che sarà contraddistinto dallo scontro aperto per la dominanza tra aree e blocchi di paesi in crescente competizione.

Dal punto di vista ideologico, il conflitto per la supremazia assume le sembianze di uno scontro di civiltà, ma sotto questa percezione “etica” e culturale si cela una ben più pregnante alterazione sociale attinente al passaggio tra la cosiddetta formazione capitalistica dei funzionari del capitale di matrice americana ad un’altra tipologia riproduttiva, sulla quale ancora poco si può dire sennonché  anch’essa si baserà sullo sviluppo dell’impresa e del mercato, combinate però con un maggiore decisionismo politico (secondo il modello russo e cinese).

Stando così le cose, si coglie maggiormente la portata della posta in palio nella disputa strategica che si è aperta lungo le direttrici degli approvvigionamenti e della distribuzione delle materie prime e delle risorse energetiche. Nelle zone dove queste sono concentrate, l’instabilità arriva al parossismo scoprendo i punti nevralgici e gli snodi conflittuali che favoriranno lo sbilanciamento dei rapporti di forza tra le potenze, fino a tracciare distintamente i confini di quel teatro geopolitico dove lo scontro policentrico potrà portare finalmente in scena la trasformazione del mondo.

Nulla a che vedere, dunque, con quella dettatura “a tavolino” delle regole d’aggiustamento sistemico auspicate dai principali attori internazionali di fronte alla crisi (che è tanto economica che politica), quale base per un diverso sistema di governance internazionale. Quest’ultimo, nei fatti, sta già nascendo, indipendentemente dalla loro volontà, essendo il prodotto di quel conflitto strategico interdominanti che va lentamente spostando il centro del predominio mondiale dagli Usa verso altre formazioni.

E non è casuale che i grandi paesi protagonisti dell’assalto al cielo si stiano preparando anche militarmente alla nuova situazione. La recente dottrina di sicurezza russa – pubblicata nel maggio 2009 – definisce apertamente la corsa per il controllo delle fonti energetiche quale elemento cruciale per la solidificazione di differenti assetti di potere ed individua nelle zone del Caspio e dell’Asia centrale quelle prossimamente coinvolte nella più intensa instabilità geopolitica.

L’ultima concezione strategica della NATO, per gli stessi motivi, ha integrato la variabile energetica tra i fattori strategici principali della fase a venire, tanto da orientarsi alla massima securitizzazione degli spazi dell’area post-sovietica attraverso l’allargamento della NATO e l’impianto di basi militari nei paesi dell’estero prossimo russo. Benché Obama abbia annunciato di voler rinunciare allo scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca,  ciò non significa che vi è un generale arretramento dell’aggressività statunitense nei confronti di Mosca. Esistono tante altre strade per ottenere gli stessi risultati con meno dispendio di forze militari ed economiche.

Ma i russi sembrano al momento in vantaggio sul versante della politica energetica, come elemento per veicolare interessi geopolitici, e non accennano ad abbassare la guardia sulle aree strategiche di loro pertinenza, come ribadito dal presidente dell’Accademia delle scienze militari di Mosca, generale Gareev: “Les facteurs…énergétiques constitueront, dans les dix ou quinze prochaines années, la principale cause des conflits politiques et militaires. La lutte pour les ressources sera portée à son paroxysme, générant une confrontation politique et économique. On ne peut exclure, sur ce terrain, la possibilité d’une confrontation militaire” .

Per queste ragioni, gli statunitensi puntano ad isolare Mosca dal resto del mondo e, soprattutto, dai paesi europei che possono diventare una sponda efficace per tali programmi. Il Cremlino, attraverso gli accordi bilaterali (ed è l’unica maniera per aggirare le burocrazie dell’UE completamente schiacciate sulla partnership con gli Usa) con paesi come l’Italia, la Germania, ed ora anche la Francia, sta ottenendo buoni risultati, almeno in materia di energia. Si tratterà col tempo di convertire il potenziale accumulato per via economica in strategia politica comune, e nel comune interesse di tutti i partner i quali dovranno far fronte alla crescente ostilità degli Usa che si inasprirà in conseguenza della loro debolezza e della loro impossibilità a dominare un’architettura mondiale non più corrispondente ai reali rapporti di forza tra le nazioni.

Il vecchio ordine, a dominanza statunitense, ha dimostrato di non poter ancora reggere per molto, ma gli Usa non vogliono rinunciare (com’è ovvio che sia) alla costruzione geopolitica che li ha proiettati alla testa del pianeta per più di mezzo secolo (compresa la parentesi della condivisione del globo con l’URSS). E’ questo il dato principale che farà del mondo un posto sempre meno sicuro.


Significato della parata del 1 ottobre in Cina

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In Cina, giovedì 1 ottobre 2009 si festeggerà il 60° Anniversario della Fondazione della Repubblica popolare cinese e, a seguire, sabato 3 ottobre 2009 si festeggerà la Festa di Mezzo Autunno. In questo periodo si assisterà a un vero e proprio esodo interno dei lavoratori, che approfitteranno del periodo di ferie per far ritorno alle proprie abitazioni: ovviamente tutte le attività lavorative si fermeranno. I festeggiamenti per la fondazione della repubblica coinvolgeranno tutte le province cinesi, si svolgeranno anche a Hong Kong e si sa già che saranno grandiosi, soprattutto a Pechino, dove si sta preparando un’enorme parata militare, che coinvolgerà migliaia e migliaia di persone in Piazza Tian’anmen.

Uno dei capisaldi della cerimonia del primo ottobre sarà lo sfondo costituito dai “56 pilastri dell’unità etnica” per ribadire la centralità del concetto di patria e la vocazione imperiale cinese, inoltre molte persone stanno sistemando fiori ed espongono la bandiera nazionale nelle vie e nei quartieri per contribuire alle decorazioni e festeggiare l’evento.

L’impiego di mezzi e risorse finanziarie per preparare la celebrazione è tale che i serissimi commissari della Cultura in Cina non hanno esitato a ingaggiare gli attori Jackie Chan e il suo erede Jet Lie, per la produzione di un film epico sulla rivoluzione maoista per attirare, grazie all’impiego di grandi star conosciute anche all’estero, i giovani cinesi, che difficilmente si avvicinano ai film della “propaganda” governativa. Il film dal titolo “Jian Guo Da Ye” o “La fondazione di una Repubblica“, è già nelle sale ed è il film più importante girato per il Sessantesimo anniversario della Repubblica popolare cinese, che cade il primo ottobre.

Ma la più attesa e grandiosa celebrazione a Piazza Tian’anmen resta la cerimonia della parata militare. La parata mostrerà principalmente lo sviluppo e i cambiamenti della forza militare cinese, facendo sfilare, in maniera volutamente parallela alla grande parata di Mosca del 9 maggio, resuscitata e riportata alla magnificenza per volontà di Putin, sia i corpi militari “storici” sia gli ultimi ritrovati della tecnologia militare cinese.

Il richiamo alla parata russa per l’anniversario della vittoria nella Grande Guerra Patriottica non è casuale, ma intende sottolineare come il destino dei due polmoni eurasiatici è indissolubilmente legato dall’appartenenza allo stesso continente e, al di là di divergenze contingenti, dalla necessità di dover fare fronte contro le minacce comuni. Perciò sarà seguita molto da vicino dai giornalisti e dai responsabili militari delle altre nazioni.

Lo spiegamento di mezzi sarà senza precedenti. Secondo quanto illustrato dalle autorità militari, alla parata parteciperanno dodici plotoni di fanteria di cui sei saranno in assetto da guerra, reduci da diverse operazioni militari, di cui molti dei componenti sono decorati con onorificenze.

Durante la parata, la squadra dell’aeronautica militare volerà nello spazio di cielo sovrastante, abbellendo la scena sopra Piazza Tian’anmen. Secondo quanto illustrato, nel reparto dell’aeronautica militare, c’è la squadra “Bayi”, che è l’unica squadra ad eseguire numeri acrobatici volanti per gli ospiti stranieri. Questa squadra ha ricevuto 589 delegazioni provenienti da 138 paesi e regioni, partecipando a 335 rappresentazioni, inoltre ha scortato per 10 volte gli aerei speciale presidenziali o dei capo di stato stranieri mantenendo un tasso di sicurezza del 100%.

Parallelamente ai preparativi per la celebrazione, inevitabilmente, è partita anche la macchina della propaganda occidentale anti-cinese, che grazie all’aiuto di ONG, di varie “organizzazioni per i diritti umani” e di media filoatlantici, hanno intensificato gli sforzi per sabotare le celebrazioni, come già avvenuto in occasione delle Olimpiadi di Pechino.

I media anticinesi puntano il dito sulle eccezionali misure di sicurezza dispiegate per la parata, che vengono presentate come un inasprimento dell’oppressione del regime e su alcuni episodi isolati di cronaca con protagonisti immigrati o appartenenti a minoranze etniche della Cina, per evidenziare l’intolleranza e la brutalità della polizia e quindi la presunta natura razzista e discriminatoria dei cinesi (legittimando così le velleità indipendentiste di tibetani e uiguri) mentre invece la legislazione cinese concede massima autonomia sul piano culturale e religioso alle minoranze, nel rispetto dell’autorità centrale dello Stato.

Lo scopo della parata sarà quindi quello di mostrare al mondo l’attuale ottima condizione delle forze militari cinesi, ma anche quello di dare una compatta e risoluta risposta ai tentativi di disgregazione (Turkestan, Tibet) posti in essere dagli occidentali.

La Cina vuole dimostrare di marciare nella stessa direzione della Russia e delle altre potenze eurasiatiche verso il mondo multipolare e non accetta interferenze all’interno del suo spazio geopolitico.

Antonio Grego, dottore in Scienze politiche, in Eurasia. Rivista di studi politici ha pubblicato il saggio: L’immigrazione romena in Italia e reti transnazionali europee (nr. 4/2006, pp. 101-114).


Lo scontro di civiltà e il Premio Mondello. Erofeev e l’ideologia russofoba

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Sig. Tiberio Graziani,

Direttore di Eurasia. Rivista di Studi geopolitici

Caro Sig. Graziani:

Abbiamo appreso con grande rammarico la notizia che il 5 maggio 2009 il cittadino russo Victor V. Erofeev, che si presenta come uno ‘scrittore russo’ abbia vinto il premio letterario ‘Mondello’ per il libro ‘Il buon Stalin’(2004), e che un testo praticamente sconosciuto in Russia sia stato riconosciuto – evidentemente per negligenza – come il miglior ‘romanzo’ dell’anno in Italia.

E’ triste che individui culturalmente minorati provenienti dalla Russia e Europei non informati, cadano vittime di una tale provocazione, poiché l’autore di cui sopra non può in nessun modo essere considerato uno scrittore, né tantomeno uno scrittore RUSSO.

L’inevitabile conclusione alla quale siamo giunti dopo una buona conoscenza del libro ‘L’enciclopedia dell’anima russa’ (2006 in Italia), è che tale libro può essere descritto solo come una poltiglia russofobica, immorale ed antisociale, volta a generare un odio generalizzato in Russia. Chiaramente questa scrittura è figlia di una devianza mentale, di immaginazione iperattiva e di una visione distorta e senza speranze. Ci sorprende che questo oltraggioso odio bestiale per tutte le cose russe, per la Russia e per l’umanità in genere, possa vedere la luce nella nostra epoca. Il linguaggio con cui ‘L’enciclopedia’ è scritta, puzza di graffiti illetterati e offensivi lasciati sui muri dagli hooligans. Alcune citazioni di seguito dovrebbero illustrare a sufficienza la questione.

Per esempio, la parte di testo intitolata ‘La Domenica di Sangue’ recita:

I russi dovrebbero essere bastonati.

I russi dovrebbero essere ammazzati.

I russi dovrebbero essere murati.

Altrimenti non sarebbero più russi.

La Domenica di Sangue è festa nazionale’

La parte del testo intitolata ‘La Piazza Rossa’ – il posto favorito e dai russi e dai turisti stranieri che visitano la nostra nazione – dice:

La Piazza Rossa è una prova per gli stupidi. Se ti piace devi essere completamente pazzo. Se non ti piace significa che sei ugualmente al 100% pazzo. Il luogo è incantato. Ci sono schiere di pazzi ben vestiti che camminano intorno alla Piazza Rossa. Tenete in mente che nel maggio 1945 la Piazza Rossa fu il luogo in cui la Russia imbellettata si rallegrò del grande trionfo sul Fascismo hitleriano!’

Qui di seguito alter idee del Sig Erofeev in merito alla Russia:

Avendo girato il mondo per comprendere meglio la Russia, ho capito che essa rappresenta una seria minaccia al mondo’.

La Russia non è fra le culture capaci di autodeterminarsi. E’ storicamente una nazione disonesta. Essa si basa su delle menzogne.’

La cultura russa è un obitorio a cinque stelle

I commenti sono superflui. In aggiunta bisognerebbe solo notare che – oltraggiosamente come Cam nella Bibbia – il sig. Erofeev non solo insulta i Russi, ma anche tutti coloro che nel mondo ammirano la Russia e si considerano suoi amici.

Qui un altro passaggio da questi scritti barbari:

Un russo è un caso di responsabilità limitata. Non saprai mai cosa ha compreso e cosa non è riuscito ad afferrare. Dovresti parlare ai russi in termini il più semplici possibile. Questa non è una malattia, bensì una condizione storica’.

Il modo di agire con I russi è di mettere la maschera antigas e di attaccare. Loro odiano essere trattati bene. Se tu ti comporti bene con loro, essi si decompongono come salsicce al sole.

Tutti… pensano che i russi abbiano le sembianze di persone normali.. E’ solo un’illusione – sono bestie con quattro nasi.’

La normale condizione di un russo è l’ubriachezza.. Quando è ubriaco un russo sembra se stesso’

La Russia è una nazione vergognosa. Un taccuino di stereotipi. Loro non sono capaci né di lavorare né di pensare in maniera sistematica’

E’ noto che la nazione che il Sig. Erofeev chiama ‘vergognosa’ è rispettata in Italia. Questo rispetto è dovuto non solo alla grande cultura russa e ai legami di lungo termine tra Russia e Italia, ma anche il fatto che storicamente gli italiani hanno avuto l’occasione di incontrare i russi e di poter testimoniare il carattere russo.

Il 28 dicembre 1908, data catastrofica in cui a seguito di un terremoto Messina crollò, i marinai russi si precipitarono a salvare la gente tra le rovine della città, salvando oltre 3000 vite; questa data non è stata dimenticata in Italia. Nel 1910 il governo italiano insignì della medaglia di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia l’Ammiraglio di Divisione V.I. Litvinov delle medaglie di comandanti dell’Ordine della Corona d’Italia tutti i capitani e medici russi della missione, mentre i marinai furono insigniti di medaglie commemorative. Ci sono strade in alcune città italiane intitolate ai marinai russi della missione del 1908.

Sig Graziani, come lei ben sa, il centesimo anniversario della tragedia è stato commemorato in Italia nel dicembre del 2008.

E’ deplorevole che – contro l’evidenza degli eventi passati – un premio letterario sia stato assegnato a Palermo, in Sicilia, a Erofeev, che era stato denunciato due mesi prima da un gruppo di attivisti moscoviti per incitamento all’odio all’interno della nazione russa. Il premio sembra un’espressione di supporto allo scribacchino datogli da una nuova Internazionale che ha bisogno di persone come Erofeevs, per seminare ostilità fra i popoli e quindi spingere il mondo verso la catastrofe.

Gli Italiani sono conosciuti per essere pii cristiani. Quindi dovrebbero sapere come l’uomo di Neanderthal con ambizioni letterarie abbia osato imbrattare l’intero mondo cristiano.

Il Cristianesimo si sta evolvendo in una orchestra folkloristica guidata da Pietro e Paolo…

Sono stanco degli dei in abiti teatrali. Non dovrebbe essere troppo difficile trovare un lavoro per questi veterani del Paradiso. Insieme agli dei dell’Olimpo e a Babbo Natale, potrebbero essere utilizzati per intrattenere i bambini e personaggi di miti istruttivi, di leggende e di favole..

‘Naturalmente convocare una sessione dell’Unesco e commissionare un nuovo dio è un’opzione. E’ più probabile, comunque, che emergerà naturalmente dallo sporco dell’Africa e da internet, fra i senza casa russi, le zanzare del Kolkota, tra i tossicodipendenti di New York..’

‘In essenza il Cristianesimo è stato concepito in maniera eccezionale: la predestinazione della morte in cambio dell’osservazione di regole morali

Questa è la visione del mondo del recente vincitore del premio Mondello. Egli insulta apertamente l’intero mondo, tra cui milioni di cristiani, i costruttori della grande cultura spirituale del genere umano, sia quelli che vivono in questo mondo che quelli che sono passati a miglior vita.

Sig. Graziani, sapendo che lei è un patriota della sua nazione, un sincere amico della Russia e un conoscitore della sua cultura, le chiediamo di riportare sulla sua rivista il vero stato dell’ambiente intellettuale russo, di far conoscere ai suoi lettori gli autori russi di rilievo e di spiegare come si sentono i russi relativamente a questo fenomeno pseudo-culturale, spesso soprannominato ‘russo’ all’estero,  ma che mal rappresenta la sua gente, diffondendo odio verso qualsiasi cosa russa, inculcando disprezzo per gli uomini, odio per Dio, e disprezzo per i valori morali.

Con i nostri migliori saluti,

V.N. Krupin, scrittore, membro del Presidio dell’Accademia Russa delle Arti, Co-Presidente dell’Unione degli Scrittori Russi

E.Z. Tsybenko, Professore Emerito dell’Università statale di Mosca, Dr. in Scienze filologiche, insignito con il titolo di Comandante dell’Ordine al Merito della Repubblica Polacca.

L.S. Krasnova, Professore dell’Università statale di Mosca presso la  facoltà di Lingue Straniere, Dr. in Scienze filologiche

V.V. Voropaev, Professore dell’Università statale di Mosca presso la facoltà di Filologia, Dr. in Scienze filologiche

N.V. Maslennikova, Professore dell’Università statale di Mosca presso la facoltà di Filosofia, Dr. in Scienze filologiche

O.V. Tsybenko, Ricercatore associato, Istituto per gli studi Slavi presso l’Accademia russa delle Scienze, Dr. in Scienze filologiche

A.N. Strizhev, Scrittore, membro dell’Unione degli Scrittori Russi

V.A. Nedzevetski, Professore Emerito dell’Università statale di Mosca, Dr. in Scienze filologiche, vincitore del premio letterario ‘I.A. Goncharov’

G.A. Bogatova, Accademico dell’Accademia Internazionale Slava, Professore dell’Università Ortodossa the St. Tikhon, Dr. in Scienze filologiche

Archpriest Valentin Asmus, Decano della Chiesa ‘Velo Protettore della Santa Vergine’ di Krasnoye Selo, Professore dell’Università Ortodossa the St. Tikhon, MS in Teologia

E.V. Putintseva, referente dell’Arciprete Artemiy Vladimirov (Chiesa di Tutti I Santi a Krasnoye Selo), Dr. in Scienze filologiche

T.L. Mironova, Capo Ricercatore Associato della Biblioteca di Stato russa, Dr. in Scienze filologiche, membro dell’Unione degli Scrittori Russi

V.V. Schmidt, Deputato della  Facoltà di Stato Relazioni Nazionali, Primo Consigliere di Stato della Federazione Russa, Dr. In Scienze filosofiche, membro dell’Accademia Russa di Servizio dello Stato per il Presidente della Federazione Russa

E.A. Bondareva, Direttore di Programmi Pubblici,  Fondazione Prospettive Storiche, Dr. In Scienze storiche

E.A. Popov, Direttore degli Studi Ukraini, Professore all’Università federale del Sud (Rostov-on-Don), , Dr. In Scienze filosofiche

A.S. Novikova, Professore dell’Università statale di Mosca presso la facoltà di Filologia, Dr. in Scienze filologiche

V.I. Maksimenko, Direttore della Fondazione Russkoe Edinstvo per la Promozione della Cooperazione Umanitaria, Dr. in Scienze storiche

S.G. Zamlelova, Scrittore, membro dell’Unione degli Scrittori Russi

Mosca

14 settembre 2009

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Cari Amici Russi,

ho letto con molta attenzione il testo della vostra lettera aperta.

Lo ritengo un simbolico atto di denuncia contro la campagna di disinformazione e demonizzazione attualmente in atto ai danni della vostra nazione e del vostro popolo.

Tale campagna, volta a creare diffidenza verso il popolo russo, vale la pena ricordarlo, è iniziata a partire dagli anni 2000, quando la Russia ha iniziato a rialzare con dignità e fermezza il capo, dopo il collasso sovietico dei primi anni novanta e la successiva gestione el’ciniana della cosa pubblica.

La ragione principale di questa campagna trae la sua origine da una prassi geopolitica perseguita costantemente dalle potenze atlantiche, Gran Bretagna e Stati Uniti in testa, e dalle lobbies che ne determinano la politica estera. Lo scopo di questa prassi è la disgregazione totale dello spazio russo o, perlomeno, il suo accerchiamento.

Lo spazio russo rappresenta infatti l’area perno dell’intera massa eurasiatica. La sua disgregazione (o il suo accerchiamento) produrrebbe un effetto disastroso per il costituendo scenario multipolare, e soprattutto, per lo sviluppo delle relazioni culturali, economiche e politiche tra le Nazioni europee e la Federazione russa.

La campagna russofoba, in cui si inserisce l’opera di Erofeev, è parallela e sinergica ad un’altra campagna, quella islamofoba, orchestrata da Washington e Londra a partire dagli anni novanta.

Anche in questo caso le potenze atlantiche, al fine di limitare ogni possibile intesa, in particolare, tra l’Europa meridionale, il Nordafrica e il Vicino Oriente hanno messo in atto una campagna mediatica volta a produrre diffidenza tra gli Europei e gli appartenenti alla cultura islamica. Anche alcuni “intellettuali” italiani si sono prestati a questa indegna campagna.

Pubblicherò e diffonderò la vostra lettera, affinché sappiate che qui in Italia e in Europa avete amici sinceri e disinteressati che insieme a voi denunciano lo scontro di civiltà alimentato dai think tanks atlantici.

Con i migliori auguri.

Tiberio Graziani

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Sr. Tiberio Graziani,

director de Eurasia. Rivista di Studi geopolitici

Estimado Sr. Graziani:

Con gran pesar descubrimos que el 5 de mayo de 2009 el ciudadano de Rusia, Victor V. Erofeev, que se presenta a sí mismo como “un escritor ruso” recibió el Premio Literario Mondello por El buen Stalin (2004), un texto que es prácticamente desconocido en Rusia y que –evidentemente como resultado de alguna negligencia –fue reconocido como la mejor “novela” del año en Italia. Es triste que individuos culturalmente incapacitados de Rusia y algunos europeos desinformados  hayan caído víctimas  de una provocación absoluta ya que el antedicho autor no puede ser de ningún modo considerado un escritor, y menos aún un escritor RUSO.

La inevitable conclusión a la que llegamos familiarizándonos con la Enciclopedia del alma rusa (1999, segunda y tercera edición de 2002 y 2005 respectivamente) de V. Erofeev es que el libro sólo puede ser considerado un inmoral y antisocial pastiche rusófobo que incita al odio nacional en Rusia. Claramente, el escrito fue generado por alguna desviación mental, una imaginación hiperactiva y por una visión desesperadamente distorsionada. Resulta sorprendente que tal vergonzosa mezcla de odio bestial hacia todo lo ruso, Rusia y hacia la humanidad en general pueda salir a la luz en nuestra época. El mismo lenguaje en que está escrita la “Encyclopaedia” tiene el mismo olor pestilente que los graffitis ofensivos e iletrados que los gamberros dejan  en las paredes. Algunas citas a continuación pueden contribuir a ilustrar suficientemente lo que decimos.

Por ejemplo, el fragmento del texto titulado Domingo Sangriento dice:

“Los rusos deberían ser aporreados.

Los rusos deberían ser abatidos a tiros.

Los rusos deberían ser emparedados.

De lo contrario ya no serían rusos.

El Domingo Sangriento es una fiesta nacional”1.

El fragmento del texto  titulado Plaza Roja –el lugar honrado por los rusos así como por los turistas extranjeros que visitan el país –dice:

“La Plaza Roja funciona como una prueba para los estúpidos. Si te gusta, tienes que ser un completo chiflado. Si no –también significa que eres un chiflado al cien por cien. El espacio está encantado. Hay muchísimos chiflados disfrazados caminando por la Plaza Roja (149). ¡Ten en cuenta que en mayo de 1945, la Plaza Roja era el lugar en el que la Rusia disfrazada se regocijaba por el gran triunfo sobre el fascismo de Hitler!”

Aquí tenemos algunas ideas adicionales del señor  Erofeev acerca de Rusia:

“Habiendo recorrido el mundo para conocer mejor Rusia me di cuenta de que presenta una seria amenaza para el mundo” (197).

“Rusia no se encuentra entre las culturas capaces de auto-determinación. Es un país históricamente deshonesto. Está basado en mentiras.” (122).

“La cultura rusa es un depósito de cadáveres de cinco estrellas” (255).

Los comentarios resultan innecesarios. Sólo habría que indicar que –escandalosamente como Cam en la Biblia –el señor Erofeev de esa manera insultaba no sólo a los rusos, sino también a todos aquellos que en cualquier parte del mundo aprecian a Rusia y se consideran sus amigos.

He aquí otro pasaje de los escritos del bárbaro literario:

“El ruso es un caso de responsabilidad disminuida. Nunca sabrás lo que comprendió y lo que no logró captar. Deberías hablar al ruso medio en términos enormemente simplistas. Esto no es una enfermedad, es una condición histórica” (72).

“El modo de actuar con los rusos es ponerse la máscara de gas y atacar. Odian que se les trate bien. Si eres amable con ellos, se deterioran como una salchicha al sol” (77)

“Todo el mundo…pensaba que los rusos por lo menos tenían el caparazón exterior de la gente normal…Esto es sólo una ilusión –son bestias de cuatro narices” (194).

“La condición normal de un ruso es estar borracho…Cuando está borracho, el ruso se parece a sí mismo” (195, 197)

“Los rusos son una nación vergonzosa. Un cuaderno de estereotipos. No pueden ni trabajar ni pensar sistemáticamente” (46).

Sin embargo, se sabe que la nación que el señor Erofeev llama “vergonzosa” es respetada en Italia. Este respeto se debe no sólo a la gran cultura rusa y a los vínculos, resistentes al paso del tiempo, que existen entre Rusia e Italia, sino también al hecho de que históricamente los italianos han coincidido con los rusos y han sido testigos del carácter ruso.

La catástrofe del 28 de diciembre de 1908, cuando Messina se vino abajo a causa de un terremoto y los marineros rusos se apresuraron a rescatar al pueblo de las ruinas de la ciudad y salvaron por lo menos tres mil vidas, no ha sido olvidada en Italia. En 1910, el gobierno de Italia concedió la medalla de caballero de la gran cruz de la Orden de la Corona de Italia al contralmirante V.I. Litvinov, y medallas de comandante de la orden de la Corona de Italia a todos los capitanes y doctores rusos así como medallas conmemorativas a los marineros rusos por la misión. Asimismo, hay calles en ciudades italianas que llevan los nombres de los marineros rusos que actuaron heroicamente en 1908. Señor Graziani, como usted sabe, el cien aniversario de la tragedia fue conmemorado en Italia en diciembre de 2008.

Es deplorable que –en el contexto de los acontecimientos –un premio literario haya sido concedido en Palermo, Sicilia, a un Erofeev que había sido demandado dos meses antes por un grupo de activistas en Moscú por incitación al odio nacional. El Premio parece ser una expresión de apoyo al escritorzuelo otorgado por la nueva Internacional que, del mismo modo, necesita a los Erofeevs para que susciten  hostilidad entre los pueblos empujando así al mundo hacia la catástrofe.

Se sabe que los italianos son píos cristianos. Deberían ser conscientes de cómo el Neandertal con ínfulas literarias se atrevió a difamar a todo el mundo cristiano:

“La Cristiandad está evolucionando hacia una orquesta folclórica conducida por Pedro y Pablo…”

“Estoy cansado de los dioses en atuendo teatral. No debería ser demasiado difícil encontrar trabajos lo bastante fáciles para esos veteranos del Cielo. Junto con los Olímpicos Griegos y Santa Claus, servirán como tutores para niños y como personajes de mitos, leyendas y cuentos de hadas instructivos…”

“Por supuesto, convocar una reunión de la UNESCO y encargar un nuevo dios es una opción. Sin embargo, es más probable que surja naturalmente de la negra suciedad de África y de Internet, entre los sin techo rusos, las moscas de Calcuta y los drogadictos de Nueva York…”

“En esencia, el acuerdo cristiano fue concebido de forma brillante: la predestinación de la muerte a cambio de que observes normas morales” (210-212).

Tal es el pensamiento global del reciente vencedor del premio Mondello. Abiertamente insulta a todo el mundo, incluyendo a millones de cristianos –los constructores de la gran cultura espiritual de la humanidad, que viven en este mundo y en el otro.

Señor Graziani, sabiendo que usted es un patriota italiano, un auténtico amigo de Rusia y un conocedor de su cultura, le pedimos que describa en su publicación el estado real del ambiente intelectual ruso, que presente a sus lectores a destacados autores rusos y que explique cómo los rusos se sienten acerca de algunos fenómenos pseudo-culturales, a menudo vendidos como “rusos” fuera de Rusia pero que representan de modo lamentable a su pueblo, extendiendo el odio hacia todo lo ruso, inculcando el desprecio hacia los hombres, el odio hacia Dios y la falta de respeto por los valores morales.

Con los mejores saludos,

V.N. Krupin, escritor, miembro del Presidium de la Academia Rusa de las artes, copresidente de la Unión de Escritores Rusos

E.Z. Tsybenko, Profesor Emérito de la Universidad Estatal de Moscú, Dr. en Filología, premiado con la cruz de comandante de la Orden del Mérito de la República de Polonia.

L.S. Krasnova, Profesora, Universidad Estatal de Moscú, Facultad de Lenguas Extranjeras, Dra. en Filología.

V.V. Voropaev, Profesor, Universidad Estatal de Moscú, Facultad de Filología, Dr. en Filología

N.V. Maslennikova, Profesora, Universidad Estatal de Moscú, Facultad de Filología, Dra. en Filología

O.V. Tsybenko, Investigador asociado, Instituto de Estudios Eslavos de la Academia Rusa de la Ciencia, Dr. en Filología

A.N. Strizhev, escritor, miembro de la Unión de Escritores Rusos

V.A. Nedzevetski, Profesor Emérito de la Universidad Estatal de Moscú, Dr. en Filología, ganador del Premio Literario  I.A. Goncharov.

G.A. Bogatova, académica de la Academia Eslava, profesora de la Universidad Ortodoxa de San Tijón, Dra. en Filología

Arcipreste Valentin Asmus, Decano de la Iglesia “Velo Protector de la Santa Virgen” en Krasnoye Selo, Profesor, Universidad Ortodoxa de San Tijón, Máster en Teología.

E.V. Putintseva, referente del Arcipreste Artemiy Vladimirov (Iglesia de Todos los Santos en Krasnoye Selo), Dra. en Filología.

T.L. Mironova, Investigadora Asociada principal de la Biblioteca Estatal Rusa, Dra. en Filología, miembro de la Unión de Escritores Rusos.

V.V. Schmidt, Subdirector de la Facultad Estatal y de Relaciones Nacionales, Primer Consejero Estatal de la Federación Rusa, Dr. en Filosofía, Academia Rusa de Servicio Estatal del Presidente de la Federación Rusa.

E.A. Bondareva, Directora de Programas Públicos, Fundación Perspectivas Históricas, Dra. en Historia.

E.A. Popov, Director de Estudios Ucranianos, Universidad Federal del Sur (Rostov-on-Don), Profesor, Dr. en Filosofía.

A.S. Novikova, Profesora, Universidad Estatal de Moscú, Facultad de Filología, Doctora en Filología.

V.I. Maksimenko, Director de la Fundación para la Promoción de la Cooperación Humanitaria Russkoe Edinstvo Dr. en Historia

S.G. Zamlelova, escritora, miembro de la Unión de Escritores Rusos.

Moscú

14 de septiembre de 2009

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Queridos Amigos Rusos,

he leído con mucha atención el texto de vuestra carta abierta.

Lo considero un acto simbólico de denuncia contra la campaña de desinformación y demonización que se está llevando a cabo actualmente en perjuicio de vuestra nación y de vuestro pueblo.

Tal campaña, destinada a crear desconfianza hacia el pueblo ruso, vale la pena recordarlo, comenzó a partir de la década del 2000, cuando Rusia empezó a alzar nuevamente la cabeza con dignidad y firmeza, después del colapso soviético de los primeros años noventa y de la sucesiva gestión yeltsiniana de la cosa pública.

La razón principal de esta campaña tiene su origen en una praxis geopolítica perseguida constantemente por las potencias atlánticas, Gran Bretaña y Estados Unidos a la cabeza, y por los lobbies que determinan su política exterior. La meta de esta praxis es la disgregación total del espacio ruso o, por lo menos, su cerco.

El espacio ruso, de hecho, representa el área de pivote de toda la masa eurasiática. Su disgregación (o su cerco) produciría un efecto desastroso para el constituyente escenario multipolar y, sobre todo, para el desarrollo de las relaciones culturales, económicas y políticas entre las Naciones europeas y la Federación rusa.

La campaña rusófoba, en la que se inserta la obra de Erofeev, es paralela y sinérgica a otra campaña, la islamófoba, orquestada por Washington y Londres a partir de los años noventa.

También en este caso las potencias atlánticas, con el fin de limitar todo posible entendimiento, en particular, entre la Europa meridional, el Norte de África y Oriente próximo han puesto en marcha una campaña mediática destinada a producir desconfianza entre los Europeos y los pertenecientes a la cultura islámica. También algunos “intelectuales” italianos se han prestado a esta indigna campaña.

Publicaré y difundiré vuestra carta para que sepáis que aquí en Italia y en Europa tenéis amigos sinceros y desinteresados que junto a vosotros denuncian el choque de civilizaciones alimentado por los think tanks atlánticos.

Con los mejores deseos,

Tiberio Graziani

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Tiberio Graziani

Eurasia. Rivista di studi geopolitici

Cher Monsieur Graziani,

C’est avec le plus grand regret que nous avons appris que le 5 mai 2009 un citoyen russe, Victor V Erofeev, qui se présente comme historien, a reçu le Prix Mondello pour “Le Bon Staline” (2004), un texte quasiment inconnu en Russie et qui fut, certainement par négligence, désigne meilleur roman de l’année en Italie. Il est triste que des personnes culturellement handicapées en Russie et des Européens mal informes se soient laisses prendre aux provocations de cet auteur que l’on peut difficilement reconnaître comme un écrivain en encore moins comme un écrivain russe.

La conclusion inévitable a laquelle nous sommes arrives, après nous être familiarises avec son “encyclopédie de l’ âme russe” (1991, republiée en 2002 et en 2005) est que ce livre immoral et anti-social ne peut être décrit que comme un tract russophobe et une incitation a la haine. Cet écrit est en effet motive par la déviance mentale, une imagination délirante et une perception deformée. Il est étonnant qu’un tel haine de toute chose russe et de l’humanité en général voie la lumière a notre époque. Le langage même dans lequel l’Encyclopédie est écrit fait penser aux graffitis raciste qu’on trouve sur les murs.

Quelques citations tirées de la section “Dimanche sanglant” illustrent cette comparaison:

“Les russes doivent être battus”, “les russes doivent être abattus”, “les russes devraient être mures, sinon ils ne seraient plus russes”, “le dimanche sanglant est une fête nationale”.

Un passage de ce texte intitule “Place rouge” dit: “La place rouge constitue une épreuve pour les idiots. Si vous l’aimez, vous devez être fou. Si vous ne l’aimez pas, cela veut dire que vous étés aussi fou a 100%. L’espace est hante. Il y a beaucoup de fous costumes qui arpentent la place rouge. Souvenez vous qu’en mai 1945 la place rouge fut le lieu ou la Russie costumée s’est réjouie de son triomphe sur le fascisme d’Hitler”.

Voici quelques autre idées d’Erofeev concernant la Russie:

“Ayant fait le tour du monde pour mieux comprendre la Russie, je me suis aperçu qu’elle représente une sérieuse menace pour le monde. La Russie ne fait pas partie des cultures capables d’autodétermination. C’est un pays historiquement malhonnête. Elle est fondée sur des mensonges.”

“La culture russe est une morgue cinq- étoiles”.

Les commentaires sont superflus. On doit remarquer que, aussi outrageant que le Cham biblique, Mr. Erofeev insulte non seulement la Russie mais aussi tous ceux dans le monde qui l’aiment et se considèrent ses amis.

Voici un autre passage:

“Un russe est un échantillon de responsabilité diminuée. Vous ne comprendrez jamais ce qu’il a compris et ce qu’il n’a pas saisi. Vous devez parler a des russes ordinaires dans les termes les plus simplistes. Ce n’est pas une maladie, c’est une condition historique”.

“La façon d’agir avec les russes c’est de mettre un masque a gaz et d’attaquer. Ils n’aiment pas être bien traites. Si vous leur étés agréable, ils se décomposent comme des saucisses au soleil”.

“Tout le monde pensait que les russes avaient au moins les apparences de gens normaux…Ce n’est qu’une illusion. Ce sont des bêtes a quatre nez”, “la condition normale en Russie c’est l’ivrognerie. Quand il est ivre le russe est vu sous son vrai jour”.

“Les russes sont un people honteux, un catalogue de stéréotypes. Ils ne peuvent ni penser ni travailler systématiquement”.

On sait pourtant que la nations appelée honteuse par Erofeev est respectée en Italie.  Ce respect est du non seulement a la grande culture russe et aux liens anciens entre la Russie et l’Italie mais aussi au fait que les Italiens ont eu l’occasion de rencontrer des russes et d’éprouver leurs qualités.

Le séisme du 28 décembre 1908 qui détruisit Messine, quand les marins russes vinrent au secours des habitants et sauvèrent au moins 3000 personnes dans les ruines, n’est pas oublie. En 1910, le gouvernement italien décerna la grand-croix de l’ordre de la couronne de fer au contre-amiral V I Litvinov et les croix de commandeur de l’ordre a tous les capitaines et médecins de l’escadre ainsi que des médailles commémoratives aux médecins russes pour cette mission. Il y a des rues en Italie qui portent les noms des herboriseurs marins russes de 1908.

Comme vous le savez, Monsieur Graziani, le centenaire de la tragédie fut commémore en décembre 2008.

Il est déplorable qu’au vu de ces évènements, un prix littéraire ait été décerné a Erofeev a Palerme bien que ce dernier soit poursuivi en justice pas un groupe d’activistes a Moscou pour incitation a la haine. Le prix semble avoir été une expression de soutien pour cet écrivassier de la part de la nouvelle Internationale qui l’utilise pour créer l’hostilité entre les peuples et pousser le monde a la catastrophe.

Les italiens ont la réputation d’être de pieux chrétiens. Ils devraient être informes de ce que ce “Neanderthal”  aux grandes ambitions littéraires a écrit sur la religion:

“Le christianisme devient un orchestre folklorique dirige par Pierre et Paul”.

“Je suis fatigue de dieux en costumes de scène. On devrait trouver sans trop de mal des taches faciles pour ces vétérans du ciel. Avec les olympiens et le Père Noël ils  serviront de tuteurs pour les enfants et de personnages pour les légendes, les mythes édifiants et les contes de fées”.

“Bien entendu, convoquer une séance de l’UNESCO pour commander un nouveau dieu est une possibilité.  Il est plus probable cependant que ce nouveau dieu sortira naturellement de la crasse noire de l’Afrique et de l’Internet parmi les sans-abris russes, les mouches de Calcutta et les drogues de new York”.

“En vérité, la combine chrétienne fut brillamment conçue: prédestination de la mort (sic) au prix de l’observance de normes morales”.

Telle est la “pensée globale” du récent lauréat du Mondello. Il insulte ouvertement des millions de chrétiens, dans ce monde et dans l’autre.

Mr. Graziani, sachant que vous étés un patriote, un ami de la Russie et un connaisseur de sa culture, nous vous prions de defender dans votre journal l’état actuel du milieu intellectuel russe, de présenter d’éminents auteurs russes a vos lecteurs et d’expliquer ce que les russes éprouvent a l’encontre de ces phénomènes pseudo-culturels, souvent désignes comme russes a l’Etranger, qui dénigrent son people, répandent la haine de sa culture et le mépris de l’humanité, la thermoïnique et le rejet des valeurs morales.

Avec nos meilleurs sentiments.

V.N. Krupin, Écrivain, membre Académie russe des Art, Coprésident de l’Union des écrivains russes

E.Z. Tsybenko, Professeur émérite de l’Université de Moscou, docteur des sciences philologiques, décerné avec le titre de Commandeur de l’Ordre du Mérite de la République de Pologne

L.S. Krasnova, Professeur de Université d’Etat de Moscou à la Faculté des langues étrangères, Dr. en sciences philologiques

V.V. Voropaev, Professeur de l’Université de Moscou à la Faculté de Philologie, Dr. en sciences philologiques

N.V. Maslennikova, Professeur de l’Université de Moscou à la Faculté de philosophie, Dr. en sciences philologiques

O.V. Tsybenko, Associé de recherche, Institut d’études slaves de l’Académie russe des Sciences, Dr. en sciences philologiques

A.N. Strizhev, Écrivain, membre de l’Union des écrivains russes

V.A. Nedzevetski, Professeur émérite de l’Université de Moscou, docteur des sciences philologiques, lauréat du Prix littéraire « IA Goncharov »

G.A. Bogatova, Académie internationale slave, Université Orthodoxe St. Tikhon, docteur en sciences philologiques

Archiprêtre Valentin Asmus, Eglise ‘Voile Protecteur de la Sainte Vierge » de Krasnoye Selo, Professeur à l’Université orthodoxe Saint-Tikhon, MS en théologie,

E.V. Putintseva, Référent de l’ Archiprêtre Artemiy Vladimirov (Eglise de Tous les Saints – Krasnoye Selo), Dr. en sciences philologiques

T.L. Mironova, Associée de recherche principale de la Bibliothèque d’Etat russe, Dr. en sciences philologiques, membre de l’Union des écrivains russes

V.V. Schmidt, Premier Conseilleur d’Etat de la Fédération de Russie

E.A. Bondareva, Directeur des programmes publics, la Fondation Perspectives historiques

E.A. Popov, Directeur des Etudes de l’Ukraine, Professeur, Université fédérale du Sud (Rostov-sul-Don)

A.S. Novikova, Professeur de l’Université de Moscou à la Faculté de Philologie, Dr. ès sciences philologiques

V.I. Maksimenko, directeur de la Fondation Russkoe Edinstvo pour la promotion de la coopération humanitaire, docteur en histoire.

S.G. Zamlelova, Écrivain, membre de l’Union des écrivains russes

Moscou

14 Septembre 2009

La vendetta, la barbarie ed il film di Quentin Tarantino : Bastardi senza gloria

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Fonte: CounterPunch, 18 septembre 2009

Ancora una volta, Quentin Tarantino è riuscito a produrre l’impossibile : un « film anti-olocausto ». Come genere cinematografico, i film sull’olocausto possono essere intesi come la rappresentazione cinematografica realistica della « vittima ebrea » (un individuo innocente ed inoffensivo) a confronto con la più brutale ideologia burocratica mai esistita : il Nazismo. Questo genere cinematografico può essere avvertito come un intenso ricatto emozionale che dipinge la storia del ventesimo secolo attraverso un’identificazione  empatica con un protagonista ebreo fantasmagonicamente senza macchia.

Occorre precisare che questo genere ha un incredibile successo ? Si tratti di Schindler’s List, del Pianista, di Ogni cosa è illuminata, del Bambino  con il pigiama a righe o di qualsivoglia altro film sulla Shoah (termine ebraico che significa Olocausto), l’argomento della vicenda è sempre lo stesso: l’innocenza ebraica contro il terrore di Stato istituzionalizzato.

Ma Tarantino, lui, riesce a risolvere quella contraddizione manifesta tra l’« innocenza ebraica » cinematografica e la « realtà criminale » del nazionalismo ebraico. E vi riesce pure magistralmente, per mezzo di una finzione. Nella sua messa in scena puramente fantastica, l’Ebreo è un essere mosso dalla vendetta. È un selvaggio iconico, assetato di vendetta e cacciatore di scalpi, un assassino ispirato dalla Bibbia. Nell’ultimo film epico di Tarantino, per la prima volta, l’Ebreo della diaspora assomiglia al suo nipote israeliano. Per mezzo di un intreccio da cinema fantastico, la storia è divenuta un continuum omogeneo nel quale il passato ebraico ed il presente israeliano sono riuniti in un inesorabile circuito di vendetta suicida.

Se è vero che alcuni film possono effettivamente assomigliare ai sogni e all’inconscio, l’ultimo film di Tarantino può essere inteso come un invito a svegliarsi ; egli mette in luce alcune cose che noi ci ingegnamo ad eliminare e a negare.

A prima vista, Bastardi senza gloria corrisponde al tipico modello del film hollywoodiano sulla Seconda guerra mondiale. In questo film, un’unità speciale di Ebrei americani (i Bastardi senza gloria) sbarca nella Francia occupata al solo scopo di insegnare ai Nazisti il significato delle rappresaglie ebree. Tendono imboscate a pattuglie naziste, poi uccidono i loro prigionieri, mostrando la loro estrema brutalità, sia nello scalpare i Nazisti uccisi sia nel finire quelli non ancora morti, fracassando loro il cranio a colpi di mazza da baseball.

I Bastardi lasciano – sempre – in vita un testimone tedesco, affinché possa raccontare la loro spietata brutalità e diffondere così la paura del terrore ebraico. Hanno l’abitudine di incidere con la baionetta uno swastika sulla fronte del sopravvissuto, al fine di rendere quel Nazista identificabile da tutti, dopo la guerra. Ciò può essere visto come una riedizione aggiornata dell’occhio di Caino. Tuttavia, in questo caso, ad assumere il ruolo del Dio-Padre è una banda di « umani senza gloria ».

Il film si apre su una scena che ci riporta nella Francia del 1941, sotto l’occupazione tedesca. Il colonnello delle Waffen SS Hans Landa (interpretato da Christoph Waltz), alias « il cacciatore di Ebrei », interroga un contadino francese produttore di latte a proposito di voci secondo cui egli nasconderebbe una famiglia di Ebrei, anch’essi produttori di latte della zona. Il colonnello Landa riesce a farlo parlare ed egli confessa di nascondere i suoi Ebrei sotto il pavimento di legno. Il colonnello Landa ordina allora ai suoi uomini di sparare attraverso il pavimento, uccidendo tutti gli Ebrei nascosti, salvo l’adolescente Shoshanna (Mélanie Laurent), che riesce a fuggire in un bosco (1).

Tre anni dopo la fuga, Shoshanna riappare a Parigi sotto una nuova identità. Diviene proprietaria di una piccola sala da cinema. Il film raggiunge il suo culmine quando Shoshanna approfitta di questa opportunità per vendicare la morte dei membri della sua famiglia. Ella compie un atto suicida, eroico, causando ustioni mortali a tutta la direzione e a tutto l’alto comando nazista che, per un caso straordinario, si trovano riuniti nel suo piccolo cinema di quartiere  per vedervi l’ultimo film di propaganda nazista prodotto da Goebbels. Mentre i Nazisti muoiono bruciati vivi, (ben fatto, na !), il cinema è interamente distrutto e Shoshanna, il cui volto occupa tutto lo schermo, scossa da un riso sardonico, informa i suoi clienti cinefili nazisti che stanno bruciando :

« Questo è il volto della vendetta ebrea ! ».

Da un punto di vista ebraico, l’atto suicida di Shoshanna può essere percepito come un riferimento all’eroe biblico Sansone, che fa crollare su di sé un tempio filisteo; l’importante è che vecchi, donne e bambini (che, manifestamente, non ama) muoiano con lui. Nell’ultimo film di Tarantino, invece di vedere la classica scena di Nazisti che bruciano Ebrei, di fatto è un’Ebrea che rinchiude a doppia mandata dei Nazisti e li brucia fino a farli morire.

Ebrei contro Nazisti

Bastardi senza gloria mi ha fatto proprio sorridere senza fine. Quentin Tarantino ha ragione ed ogni Ebreo dovrebbe mandargli due parole di ringraziamento. Ecco il mio “ Sarah Silverman, su Twitter. Verrebbe da chiedersi per quale ragione un produttore ebreo, complice di Israele e del Sionismo, stia dietro un film come questo che disegna un ritratto degli Ebrei così orripilante. La risposta è molto semplice: i Sionisti si compiacciono nel vedersi come persone vendicative e senza pietà. In Israele, Sansone, nient’altro che un assassino genocida, è considerato pari ad un eroe eterno. È riuscito a dare il suo nome anche ad un battaglione di « Tsahal » ! Non è un segreto che l’immaginario del castigo sia profondamente radicato tanto nella psiche sionista quanto nella politica israeliana.

Il « mai più » non ha altra funzione che quella di suggerire agli Israeliani che gli Ebrei non saranno mai più inviati al mattatoio come agnelli. In pratica, significa che gli Ebrei replicheranno e che lo faranno con tutta la violenza possibile. Le rappresaglie sono uno degli elementi chiave per la comprensione del comportamento israeliano. Più il film presenta un’immagine raccapricciante dell’Ebreo vendicatore, più gli Ebrei ed i Sionisti mostrano di sostenere questo film e anche di apprezzarlo.

Ma Tarantino non si ferma qui : nel suo film, propone una critica inesorabile dell’identità ebraica stabilendo un raffronto tra i protagonisti ebrei e i protagonisti nazisti.

Contrariamente ai monolitici protagonisti ebrei, obnubilati dalla vendetta (i Bastardi senza gloria e Shoshanna), i Nazisti di Tarantino sono, per la maggior parte, complessi e multidimensionali. In primo luogo, essi presentano un dualismo, anzi perfino una contraddizione, tra la loro individualità ed il loro ruolo collettivo. Là dove i protagonisti ebrei presentano una convinzione che unifica le loro dimensioni personale e tribale nella loro ossessione di vendetta, di fatto il colonnello SS Landa, il « cacciatore di ebrei », rimbalza in permanenza tra l’edonismo e l’obbedienza omicida al Nazismo. Peraltro, il  colonnello è un Austriaco di buona educazione, colto, un uomo affascinante. Eppure, in pochi secondi, può mutarsi in una belva mostruosa. Egli interpreta il suo comportamento in termini di produttività, sta facendo « fa il suo lavoro ».

La sera, fa il detective : il suo compito consiste nel localizzare gli Ebrei nei loro nascondigli. Il colonnello Landa riconosce di essere piuttosto abile in questo, perché capace di « pensare come un Ebreo »: può dire in anticipo come potrebbero comportarsi delle persone « prive di dignità ». Contrariamente ai protagonisti ebrei che non parlano alcuna lingua straniera, il colonnello Landa è immerso nelle culture occidentali. Oltre alla sua lingua madre, il tedesco, egli parla correntemente l’inglese, il francese e l’italiano. Contrariamente ai protagonisti ebrei concentrati unicamente sulla loro vendetta, Landa finisce per tradire il III Reich unicamente per porre fine alla guerra e perché, infine, l’Europa conosca la pace. Inutile precisare che, nello stesso tempo, anche lui si dà da fare per procurarsi un futuro, negoziando con un « pezzo grosso » americano.

Fredrick Zoller (Daniel Brühl) è un’altra illustrazione dell’identità multidimensionale nazista. Zoller interpreta il ruolo-star di un giovane eroe della Wehrmacht, l’esercito tedesco, nell’ultimo film di propaganda di Goebbels. Nonostante sia una macchina per uccidere ben decorata, egli è ben lungi dall’esserne orgoglioso : lo ha fatto per difendersi ; la sua vera passione è il cinema. Ed è nel cinema che egli incontra Shoshanna e se ne innamora, inconsapevole di chi ella sia e del suo progetto di vendetta. Mentre Zoller può estraniarsi facilmente dal suo ruolo di eroico soldato nazista, anzi di macchina per uccidere, Shoshanna non è disposta nemmeno a considerare la possibilità [di dimenticare chi è]. È determinata a compiere la sua missione. Finirà con lo sparargli un proiettile nella schiena, prima di eliminare tutta la direzione nazista.

Guida elementare al simbolismo tarantiniano

Simbolismo e storia

Come accennato in precedenza, i Bastardi senza gloria incidono degli swastika sui soldati tedeschi ai quali è consentito di sopravvivere al loro martirio.

Dire che la storia della Seconda guerra mondiale è lungi dall’essere largamente accessibile  e liberamente dibattuta, non è certo rivelare un segreto. Invece di tentare di sviluppare il significato della storia e della dinamica storica, noi siamo sottoposti ad una crescente saturazione di simboli (e pure di leggi) che suggeriscono quali opinioni siamo autorizzati ad avere e quali ci sono proibite. I « terroristi », i « Nazisti » e il « Fascismo » sono, ovviamente, i « cattivi »; quanto alla « democrazia » e alla « libertà », esse sono i « buoni ». Qui, Tarantino ci propone una critica impietosa di questa situazione. Il fatto di incidere dei simboli (nel caso, degli swastika) sulla fronte delle persone è una forma per mantenere la propria egemonia. A quanto pare, siamo semplicemente così forti da decretare una « verità ». Se, in compenso, noi fossimo stati (e se fossimo) interessati al solo significato della nostra storia, non saremmo forse stati ( e forse non lo saremmo oggi) in grado di impedire all’Impero anglosassone di reiterare il crimine perpetrato a Dresda, a Hiroshima, nel Vietnam, in Iraq e a Gaza ?

Il Golem

Ad un certo momento, l’alto comando nazista è convinto che l’«Orso ebreo », un « cacciatore di Nazisti mulinante una mazza da baseball » sia in realtà un Golem vendicatore, al quale un rabbino folle di collera dà i suoi ordini. Nella leggenda ebraica, il Golem è una creatura modellata nell’argilla, in cui viene insufflata la vita per mezzo di incantesimi magici. Nel film, l’ « Orso ebreo » è in realtà il Sergente Donny Donowitz (Eli Roth), comandante in seconda dei Bastardi. Il riferimento al Golem è molto significativo : evidentemente, anche i Nazisti non credono che un essere umano possa rivelarsi estremamente brutale  nei confronti dei suoi congeneri umani. Tuttavia, qui il simbolismo può essere ancora più importante. Il Golem ha la parola ebraica « verità » incisa sulla fronte. Per i Bastardi senza Gloria, la nozione di verità è quella « verità » che cercano di imporre agli altri incidendo loro degli swastika sulla fronte.

Il Sabbath Goy

Il tenente Aldo Raine (Brad Pitt), comandante dei Bastardi sena gloria, è un goy americano che non ha niente a che vedere con il giudaismo, né  con la giudaicità. È un ufficiale originario del Tennessee, dall’accento greve e guidato dalla vendetta. Ciò può far sorgere la domanda del perché Tarantino abbia messo un cowboy goy nella posizione di dirigere i Bastardi ebrei. Può darsi che Tarantino voglia semplicemente suggerire l’idea che il Tenente Raine sia solo uno strumento (o un « mercenario per procura ») delle rappresaglie ebraiche. Per quanto devastante possa sembrare, le relazioni che egli intrattiene con i suoi subalterni  ebrei possano essere paragonate a quelle tra Bush ed i suoi neoconservatori guerrafondai. Difficile decidere: il Tenente Raine è un candidato alla alla giudaicità oppure è lui, in quanto selvaggio assetato di sangue, a capitalizzare sulla vendetta ebraica ? Ma una cosa è del tutto chiara : secondo l’immaginario cinematografico di Tarantino, l’associazione dell’America  agli Ebrei è ben lungi dall’essere un’avventura sana dal punto di vista umano.

Il film e il sogno

Invece di essere noi a guardare il contenuto di un sogno, possiamo immaginare che sia il sogno a guardare noi, a vedere in noi il suo « contenuto di realtà ». Quando accade, nel sogno, siamo generalmente noi e la nostra cosiddetta realtà psicologica che non solo veniamo osservati, ma anche passati al setaccio. Nella maggior parte dei casi, l’interpretazione dei sogni è fondata sul presupposto che, nel sogno, dei flussi involontari di pensieri vengono a puntare i loro riflettori sui nuclei forti del nostro essere. Il sogno ha la funzione di attirare la nostra attenzione su quelle cose che noi occultiamo e neghiamo. Quest’idea ci richiama il ritorno di Slavoj Zizek a quello slogan degli anni 1960, secondo il quale « la realtà è fatta per quelli che sono incapaci di affrontare il sogno ».

Il film è assimilabile al ruolo del sogno. Per quanto tendiamo a crederci gli spettatori, talvolta siamo in realtà noi gli osservati. L’ultimo film di Tarantino ne è un classico esempio: esso ha l’obiettivo di innalzare la nostra coscienza fino al regno delle idee  che noi vogliamo a tutti i costi evitare. Solleva delle domande che noi consideriamo tabù. Ci dà un’opportunità di vederci dal punto di vista dell’inconscio. Attraverso la fantasia, esso disegna la nostra realtà. Come nel sogno, Bastardi senza gloria sposta e rimodella degli avvenimenti senza alcuna connessione con la verità storica ed il film, del resto, non cerca di smontare alcun fatto storico riconosciuto. Esso non obbedisce a nessuna narrativa riconosciuta, eppure prodiga significati. Forse il successo del film è attribuibile alla sua capacità di comunicare con alcune realtà pre-simboliche (il reale lacaniano). Ci spoglia del nostro simbolismo e del nostro ordine simbolico. In quanto opera d’arte, ci riavvicina all’Essere.

Attraverso la violenza, esso colpisce il nostro nucleo etico e risveglia, speriamolo, la nostra aspirazione alla gentilezza. Per la prima volta, noi trascendiamo la contraddizione che ci auto-imponiamo chiudendo gli occhi sulle origini del Sionismo, della barbarie e della fomentazione delle guerre su scala globale. Attraverso la finzione, arriviamo a guardare il male negli occhi ed è esattamente in quel momento cruciale che Tarantino mette il punto finale al suo film. Nell’ultima sequenza, la cinepresa assume il ruolo degli occhi del Tenente Raine (un punto di vista immediato). In sostanza, osserviamo il Tenente Raine mentre taglia sadicamente con la sua baionetta la fronte del Colonnello Landa. In pratica, nel linguaggio cinematografico, osserviamo con orrore il Tenente Raine incidere degli swastika sulla fronte di tutti noi.

Secondo Lacan, l’inconscio è la lingua dell’Altro. È questa dolorosa verità che noi tentiamo di nascondere all’altro, pur sapendo che questa dissimulazione è senza dubbio impossibile. Da una prospettiva ebraica, Bastardi senza Gloria avrebbe dovuto essere compreso come un incubo in cui un brutto sogno diventa realtà. Ma è quasi impossibile negare che Tarantino è lì fuori, a gridare : « Il Re è nudo » : non è né una vittima, né un innocente. Il fatto che molti Ebrei siano incapaci di vederlo  e che, al contrario, finiscano per lodare questo film è indubbiamente un’indicazione che turba ulteriormente per il fatto che l’identità collettiva sionista  è arrivata a distaccarsi  da ogni nozione riconosciuta di realtà umana. Per quanto possa sembrare triste, ciò spiega il sostegno istituzionale che l’ebraismo mondiale apporta ad Israele. Ciò forse spiega anche la ragione per cui i Sionisti, in quanto collettivo, sono incapaci di interiorizzare il significato della Shoah. Invece di ricercare la grazia in se stessi, i Sionisti non cessano di lanciarsi nella caccia ai Nazisti e di segnare altri con diverse etichette e diversi simboli.

Per troppi anni, le lobby sioniste sono riuscite in tutto il mondo a smantellare ogni critica ad Israele. Sono riuscite a fare della storia della Seconda guerra mondiale una zona di ricerca ristretta ai soli Ebrei. Sono riuscite a trasformare la nostra conoscenza del passato  in uno scambio simbolico, ma hanno più o meno fallito il loro tentativo di ridurre al silenzio il sogno. A questo punto Tarantino entra in gioco: attraverso una finzione, egli riesce a dirci quella  che, in fondo, è la nostra realtà.

Mentre i Bastardi senza Gloria, Shoshanna e gli Israeliani (che si sono ammassati sulle colline attorno a Gaza per osservare il loro esercito mentre seminava la morte) traggono un autentico piacere dalla loro vendetta, è possibile che attraverso due ore e mezza di terapia sotto la direzione di Tarantino, noi siamo dopotutto in grado di imparare a goderci i nostri sintomi e a dirlo ad alta voce: « Ne abbiamo abbastanza ! Basta vendetta veterotestamentaria ! Stop alla barbarie ! Vogliamo invece grazia e misericordia !»

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(1) in riferimento al produttore di latte, Tarantino riesce, con grande sottigliezza, à caratterizzare la scenografia della sua fantasia da fiction che seguirà. Non arriverò a sostenere che, indubbiamente, nella Francia occupata dai Tedeschi non c’era NESSUN produttore di latte ebreo. Tuttavia, è certo che la produzione di latte non era precisamente la tipica professione ebraica. Questa stessa scena ci insegna inoltre che i figli della famiglia ebrea si chiamano Shoshanna e Amos. Qui sembra ancora trattarsi di un dettaglio senza importanza. Ma in realtà, è del tutto cruciale. In effetti, Amos non è assolutamente un nome corrente nella Diaspora ebraica. Si tratta, in realtà, di un nome biblico.

Traduzione eseguita da Belgicus dalla versione francese di Marcel Charbonnier

Seminario ‘La Russia post-sovietica nell’attuale contesto internazionale

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Seminario

La Russia post-sovietica nell’attuale contesto internazionale

Introduzione – Luigi Marino ‘Associazione Culturale Maksim Gor’kij’

Conclusioni – Tatjana Viktorovna Kudinova, Docente di Storia dell’Europa Orientale ‘Università Statale Pedagogica di Kursk’

Lunedì 12 ottobre 2009 – ore 17.30

Associazione Culturale ‘Maksim Gor’kij’

Napoli – via Nardones, 17 (immediate adiacenze di piazza Trieste e Trento)

tel. 081 413564

www.associazionegorki.it

info@associazionegorki.it

Azerbaigian e Kazakistan inaugurano un nuova oleodotto diretto ad ovest

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Fonte: Global Research, 26 settembre 2009 – Reuters/Azeri Press Agency

Baku: il Kazakistan, che prevede di raddoppiare la produzione di petrolio nei prossimi dieci anni, è in trattative con il vicino, sul Mar Caspio, Azerbaigian per trovare nuove vie per esportare verso il Mar Nero, e oltre, il proprio volume extra di greggio. Le ex-repubbliche sovietiche stanno prendendo in considerazione diverse opzioni, compresa la costruzione di un nuovo gasdotto, per incrementare le quantità ora trasportate con le navi-cisterna attraverso il Mar Caspio, hanno detto dei funzionari kazaki e azeri.

Timur Kulibayev, Vice-Direttore Esecutivo del fondo pensionistico statale kazako Samruk-Kazyna, ha detto che il previsto aumento della produzione – in particolare dal giacimento di Kashagan, grazie alla sua inaugurazione nel 2012 – creerà la necessità di aumentare le capacità di transito.

Abbiamo avuto colloqui con la compagnia petrolifera di stato azera ieri, e abbiamo deciso di prendere in considerazione un percorso aggiuntivo per il trasporto del petrolio kazako … verso il Mar Nero“, ha detto in un briefing, Kulibayev. Ha detto che il greggio potrebbe poi essere consegnato alla Rompetrol, una società rumena di prodotti petroliferi di proprietà della KazMunaiGas del Kazakistan [KMG.UL].

Il Kazakhstan, è il maggior produttore di petrolio in Asia centrale, già esporta con le petroliere, petrolio di sua produzione, che attraversano il Mar Caspio fino a Baku, da dove alimenta gli oleodotti di Baku-Ceyhan e Baku-Supsa. Rovnag Abdullayev, direttore esecutivo della società petrolifera di stato azera Socar, ha detto nello stesso briefing, che l’Azerbaijan stava guardando le varie opzioni per aumentare le forniture di petrolio kazako. “Potrebbe essere sia l’esistente oleodotto Baku-Supsa e, se necessario, un nuovo oleodotto fino al Mar Nero“, ha detto Abdullayev. Entrambi i funzionari hanno detto che è troppo presto per specificare i volumi delle spedizioni supplementari o altri dettagli del progetto.

Il Kazakhstan progetta di raddoppiare la produzione di petrolio, fino a 150 milioni di tonnellate all’anno, entro il prossimo decennio, in gran parte con l’inizio della produzione a Kashagan, il giacimento di petrolio più grande del mondo, trovato negli ultimi 30 anni. La Russia è il principale paese di transito per il greggio kazako, ma dei volumi minori transitano anche verso il Caucaso e la Cina.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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Washington cerca egemonia del Caucaso meridionale

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Fonte: Global Research 26 settembre 2009 – NEWS.am

Gli Stati Uniti e la Russia sono in gara per il controllo delle risorse energetiche, e tutti i processi nel Caucaso meridionale dovrebbero essere considerati in questo contesto, ha detto a NEWS.am Andranik Tevanyan, direttore del centro di economia politica, commentando le notizie sui piani del Pentagono per il dispiegamento di basi militari in Georgia entro il 2015.

Sì, Washington ha abbandonato l’idea di implementare sistemi ABM in Europa orientale, ma non rinuncerà al suo progetto a lungo termine. A lungo termine, Washington prevede di schierare truppe in Georgia, e l’intensificazione del processo di avvicinamento armeno-turco, sono componenti del piano, che è designato come un ‘grande e alternativo pacchetto dell’energia’“, ha detto Tevanyan.

Secondo lui, gli Stati Uniti stanno cercando di risolvere tutti i problemi del Caucaso meridionale in una sola volta, in modo da garantire la propria egemonia sulla regione e fare un passo avanti, verso le fortemente desiderate risorse energetiche. Tevanyan ha sottolineato che le basi militari non saranno dirette contro un qualsiasi paese – sono solo istituite da Washington “per avvicinarsi” alle risorse energetiche dell’Asia centrale e dell’Azerbaigian.

Per quanto riguarda le possibili conseguenze dei piani del Pentagono nel Caucaso meridionale, Tevanyan ha sottolineato che le basi militari statunitensi, in Georgia, significano ulteriori linee di divisione nel sistema di sicurezza regionale, in considerazione del fatto che l’Armenia è un membro della Collective Security Treaty Organization. D’altra parte, Tevanyan dubita che per Washington sarà facile attuare i suoi piani nel Caucaso meridionale. “Non credo che la Russia cederà facilmente a Washington”, ha detto Tevanyan.

Le prospettive per l’implementazione di una base militare statunitense in Georgia rimangono ancora vaghe“, ha detto Tevanyan. Ha sottolineato che una corsa agli armamenti nella regione è contro gli interessi dei paesi del Caucaso meridionale. “L’Armenia, così come gli altri paesi della regione, deve cercare di sbarazzarsi degli oneri militari di paesi terzi e non deve permettere che la regione sia trasformata in un’arena per il dispiegamento della forza militare delle superpotenze“, ha detto Tevanyan.

Secondo quanto riferiscono i media, il Pentagono sta elaborando un accordo con la Georgia. Secondo l’accordo, gli Stati Uniti costituirebbero due basi terrestri e una navale in Georgia, entro il 2015. La costruzione inizierebbe nel 2014, per essere completata l’anno successivo. Così, il Pentagono prevede di schierare 25.000 effettivi in Georgia.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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Germania sempre meno tedesca

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Le elezioni di domenica in Germania sono indubbiamente andate secondo le previsioni; un segnale vi era già stato poche settimane fa con le elezioni regionali in tre länder. Interessante il calo dell’affluenza (72%), con andamento continuo dal 2002 al 2005 a oggi. Tuttavia, non se ne traggano chissà quali conclusioni strampalate. Queste ultime saranno quasi sicuramente fantasticate dai nostri settori di sinistra “estrema” (sto usando le solite, stantie, etichette, tanto per intendersi) in merito alla crescita dei verdi e soprattutto della Linke, che sarà salutata da alcuni beoti come il ritorno di una esigenza di trasformazione sociale anticapitalistica.

La Linke è radicata soprattutto nelle regioni della vecchia RDT (la Germania detta orientale e presunta comunista). Vi sono in quelle zone quote di nostalgici, ma soprattutto gente che indubbiamente si sentiva maggiormente assistita poiché il socialismo, come ormai era in voga in tutti i partiti comunisti (anche occidentali), era semplicisticamente identificato con lo statalismo più spinto. In realtà, si tratta di una formazione politica che vuole un po’ di protezione sociale in più e che quindi, in specie in questa fase di crisi (probabilmente endemica), avrà il compito (comprensibile e giustificato) di chiedere protezione per settori sociali particolarmente deboli, maggiormente esposti agli effetti della crisi stessa. Credere che si abbiano in testa idee precise di trasformazione del capitalismo – non limitate alla riproposizione di schemi vecchi e falliti da decenni – è semplice vaneggiamento.

Questo tipo di sinistra non andrà mai al governo se non nell’ambito di alleanze (pressoché escluse per questa legislatura in Germania) con forze più moderate, che gestiscono la società capitalistica, spesso per conto di frazioni dei dominanti perfino più conservatrici – sul piano della modernizzazione e sviluppo del sistema (che non significa semplice crescita del Pil) – di quelle che appoggiano organizzazioni politiche diversamente etichettate. I verdi poi – il cui leader è il presidente del gasdotto Nabucco, controllato dagli Usa e utilizzato contro gli interessi italo-russi in campo energetico – sono al momento fautori di una politica estera del tutto contraria ad un minimo di autonomia nazionale (ed europea) rispetto al paese preminente ancor oggi nel mondo, sia pure finalmente insidiato da altri poli in rafforzamento.

E’ precisamente su questo punto che le elezioni tedesche sono decisamente negative. La socialdemocrazia prende la più solenne batosta della sua storia del 1949. Contrariamente a quanto qualcuno può pensare, il sottoscritto e gli altri amici del blog (ripensaremarx) non sono contro ogni forza etichettata come sinistra, qualsiasi sia la sua linea politica, in specie in politica estera. Non so se tutto il partito socialdemocratico, ma senz’altro una sua parte fondamentale il cui leader è Schroeder, è per una politica estera, o almeno pezzi decisivi della stessa, orientata ad est, verso la Russia in particolare. L’ex Cancelliere lo fa anche per suoi interessi (non credo però personali, ma di partito o di una sua corrente rilevante)? Si stufino pure i lettori della mia costante e ripetitiva frase, ma risponderò sempre che “mi aspetto la buona carne dall’egoistico interesse del macellaio, non dalla sua benevolenza” (Adam Smith); anche perché la benevolenza è sempre (non spesso, ma sempre) pura ipocrisia di chi persegue suoi interessi ancora più particolari e contrari ad ogni pur minimo vantaggio per la collettività o per la sua maggioranza.

La sconfitta dei socialdemocratici si unisce al successo dei liberali, il partito filoatlantico per eccellenza (assieme ai verdi), cioè il più succube e asservito agli Stati Uniti. Democristiani (assortiti) e liberali hanno, in fatto di seggi soprattutto, la possibilità di governare con una certa tranquillità. Nella coalizione che sembra ormai sicura, la Dc della Merkel, già assai ambigua in politica estera, si è ulteriormente indebolita – secondo un trend continuamente discendente dal 2002 (38%) al 2005 (35) ad oggi (33) – mentre i liberali hanno seguito la strada inversa arrivando al 14%. Salvo imprevisti, che non riesco ad immaginare, la politica tedesca dovrebbe divenire sempre meno autonoma e rafforzerà il già indubbio asservimento degli organismi europei al paese d’oltreatlantico.

Negli ultimi mesi, alcuni fatti hanno mostrato un indebolimento della politica estera italiana per quanto concerne la capacità di mantenere un minimo di indipendenza; quel minimo per cui abbiamo sempre affermato che l’attuale Governo è, almeno sul piano internazionale (e di fronte alla crisi in atto), meno peggiore di quello precedente di Prodi e soprattutto rispetto ad uno possibile in futuro che intendesse recuperare la sinistra o il centro ecc. (usando le solite etichette ormai logore). Se si dovesse continuare lungo la linea involutiva degli ultimi mesi, penso che anche la Russia dovrà rivedere la sua tattica e strategia. Per il momento, mi sembra mostrare grande pazienza con l’Italia perché il suo “fronte occidentale” è assai importante. Se ci si limitasse al semplice discorso di mercato, la Gazprom ha aperti davanti a sé imponenti sbocchi in Cina e India, sempre più affamate di energia. Tuttavia, gli accordi con l’Italia e l’Eni corrispondono, come appena accennato, ad altri interessi di tipo strategico-internazionale. L’economia “pura” (quella degli “economisti scemi”, in realtà disonesti e asserviti ad altre “bande”) non ha alcuna rilevanza; essa deve essere subordinata, e quindi lo è, ai (ri)equilibri internazionali, quelli del multipolarismo in fase di tortuosa avanzata.

Torneremo fra un po’ a discorrere più specificamente di Italia e Russia. Per il momento mi basta ricordare che si stanno restringendo i tempi per svolgere una nostra politica estera minimamente indipendente rispetto agli Usa. Queste elezioni tedesche li hanno ridotti ulteriormente; e il nostro premier sembra divenire, giorno dopo giorno, più “prudente” (leggi: contorto e “accontentatutti”). Non è una buona politica; non ci si scordi però mai chi sta dall’altra parte: pretesi “progressisti” che, con il mito (ipocrita) di Obama, sono pronti a riconsegnarci ai fasti del 92-93, quando ci si giocò quel po’ di autonomia che l’Italia aveva mantenuto grazie all’esistenza del campo sedicente socialista, scomparso nel 1989-91. Dobbiamo (dovremmo) andare oltre Berlusconi; mai però tornare a Franceschini, Bersani, D’Alema e compagnia varia (una gran brutta compagnia!).

Corso di lingua persiana

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Corso di lingua persiana

Associazione Culturale Iraniana

CORSE ZABANE FARSI

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Durata del corso

dal 24 Ottobre 2009 al 12 Dicembre 2009

Momoddate cors:Az 24 oktobre 2009 ta 12 desambre 2009

Presentazione del corso: 17 Ottobre ore 10,30

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Frequenza: ogni sabato mattina

Hozur: har shanbeh sobh

-corso principianti dalle 9,00 alle10,30

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-corso avanzato dalle 10,30 alle 12,00

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presso nazde: BibliotecaAmilcar Cabral

del Comune di Bologna

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Sergio Romano sul discorso di Ahmadinejad all’ONU

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Fonte: http://www.corriere.it/romano/09-09-29/01.spm

Riguardo all’ intervento di Ahmadinejad e Gheddafi all’ Onu, un lettore scrive che certi personaggi non dovrebbero essere autorizzati a servirsi del proprio seggio per minacciare e calunniare un altro Paese o per attaccare l’ Onu stessa (Corriere, 25 settembre). Io penso invece che per raggiungere la pace qualche volta bisogna dar voce anche al più atroce «nemico». D’ altro canto il muro contro muro non ha mai risolto nessun problema. In ogni caso non dobbiamo dimenticare che per combattere certi soprusi abbiamo un’ arma potentissima, che consiste nell’ abbandonare la piazza quando questi prendono la parola. Come hanno fatto i delegati del nostro Paese nell’ ultima riunione nel Palazzo di Vetro con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Silvano Stoppa

Caro Stoppa,

Ogni discussione sulle parole di Ahmadinejad all’ Onu dovrebbe cominciare dal testo del discorso.

L’ ho letto nella versione inglese e cerco di riassumerne, molto sommariamente, i punti essenziali. Ahmadinejad ha esordito con alcune riflessioni sul monoteismo, sul ruolo storico dei grandi profeti (Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Maometto) per la redenzione dell’ umanità, sull’ importanza delle fede e della spiritualità nelle relazioni internazionali.

Gli accenti ecumenici del discorso sarebbero piaciuti a Giovanni XXIII, il duro giudizio sull’ agnosticismo (una forma di relativismo) dovrebbe essere piaciuto a Benedetto XVI.

Ha detto che i maggiori pericoli, per l’ umanità sono le armi di distruzione di massa e il terrorismo, fra cui in particolare il terrorismo di Stato.

Ha ricordato che Saddam, durante la guerra contro l’ Iran, fu armato dall’ Occidente e impiegò armi chimiche.

Ha affermato che Al Qaeda nacque dal sostegno degli Usa ad alcuni gruppi della resistenza antisovietica e che l’ arsenale nucleare israeliano ha beneficiato della complicità americana.

Ha duramente descritto le vessazioni subite dai palestinesi nella loro terra.

Ha sostenuto che alcuni Paesi cercano d’ impedire ad altri il libero accesso alle tecnologie del progresso.

Ha rivendicato il carattere democratico dell’ Iran: un Paese in cui, dopo la rivoluzione, «si è votato 27 volte».

Ha auspicato un maggiore impegno dell’ Onu per il disarmo e ha chiesto all’ Aiea (Agenzia Internazionale per l’ Energia atomica) di promuovere l’ applicazione dell’ art. IV del Trattato di non proliferazione sul libero accesso dei Paesi firmatari alle tecnologie nucleari.

Ha ripetuto che l’ Iran non vuole armi nucleari, ma che potrebbe, se vi fosse costretto dalle circostanze, riconsiderare la sua politica.

Ha denunciato il «regime sionista di occupazione», ma non ha auspicato la distruzione di Israele e non ha negato la realtà del genocidio ebraico.

Ha dichiarato di essere pronto e negoziare. Alcune delle affermazioni di Ahmadinejad sono contestabili o grossolanamente esagerate.

Ma altre sono vere (la benevolenza degli Usa per l’ Iraq durante le guerra contro l’ Iran) o, come quelle sui palestinesi, riflettono i sentimenti e le convinzioni della grande maggioranza del mondo musulmano.

Le otto delegazioni che hanno abbandonato la sala (tra cui Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Stati Uniti) avrebbero fatto meglio ad ascoltarlo fino in fondo.

Certe forme di diplomazia spettacolo (come l’ interminabile discorso di Gheddafi all’ Onu) sono infantili, demagogiche e, in ultima analisi, inutili.

Nuova minaccia bellica nel nostro mare australe

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Due giorni fa, la stampa ha sorpreso gli argentini con una pubblicazione nella quale si annunciava che l’Inghilterra ha deciso unilateralmente e precipitosamente di rafforzare la sua forza aerea nella base militare illegalmente occupata dal Regno Unito nell’arcipelago delle Malvine con l’incorporazione di quattro aeronavi da combattimento di ultima generazione, violando in questo modo gli accordi suggellati tra l’Argentina e l’Inghilterra, pubblicamente conosciuti come il “Trattato di Madrid”. Di fronte alla gravità di questi fatti, si è appena assistito a una “tipica” protesta formale rilasciata dalla Cancelleria Argentina. Per tale motivo, un gruppo di ricercatori di Córdoba ha deciso spedire un documento a tutti i legislatori affinché non solo si respinga l’operato della potenza occupante, ma anche perché si sveli all’opinione pubblica il summenzionato accordo. L’America del Sud sta vivendo un rafforzamento delle basi militari in Colombia da parte degli Stati Uniti e dopo il suo rifiuto di presentare il documento stilato da quest’ultimo nella riunione dei Ministri della Difesa dell’UNASUR dove, sembra, che il paese sudamericano non ha nemmeno firmato un’intesa nella quale risulti che non condurrà operazioni belliche oltre la propria frontiera, il che dimostra la pericolosità di queste basi. A ciò dobbiamo aggiungere questa nuova avanzata da parte del paese invasore nei nostri territori. Per questo motivo, di fronte al silenzio degli organi pubblici di sicurezza e difesa della nazione e dei rappresentanti eletti dal popolo, il Centro Studi strategici Sudamericani (CEES) Cba, aderisce e appoggia il documento inviato a tutti i Deputati e Senatori perché si trasmetta a richiesta del Gruppo di Studi Strategici Argentini (GEEA) di Córdoba.

Dott. Carlos Pereyra Mele

MESSAGGIO INVIATO

Córdoba, 23 settembre 2009

Sig.ri rappresentanti della nazione argentina:

Questa lettera giunge tramite posta elettronica prioritaria a tutti i Deputati e i Senatori della nazione. Chi redige la presente è Hugo Rodríguez, cittadino argentino, Carta d’Identità 33.270.037, membro dell’Associazione Belgrano e direttore del Gruppo di Studi Strategici Argentini.

Mediante la presente, vi si comunica che il Regno Unito ha inviato quattro navi aeree da guerra nelle isole Malvine. Questa notizia si trova a disposizione ed è stata diffusa dal giornale inglese “The Sun” (1).

L’Argentina ha firmato il 15 febbraio 1990 a Madrid (Spagna) il noto “Trattato di Madrid”, incostituzionale, poiché non è stato approvato dalla nostra Camera, vale a dire, dall’istituzione che Voi rappresentate. Questo “Trattato” internazionale che ha consegnato la nostra sovranità territoriale al Regno Unito e del quale Vi spediamo copia (si veda archivio allegato N°3), indica:

Allegato I: Sistema Transitorio d’Informazione e di Consultazione Reciproca;

III – Informazione Reciproca sui Movimenti Militari;

I – Le parti forniranno reciprocamente, per via diplomatica e con un preavviso minimo di 25 giorni, informazioni per iscritto riguardo a:

A – Movimenti di forze navali composte di quattro o più navi;

B – Movimenti di forze aeree composte di quattro o più aerei;

Questo Accordo, tuttora vigente, esprime l’obbligo di fornire informazione sui movimenti di quattro o più aerei nella zona contesa con 25 giorni di preavviso. Questa comunicazione non è avvenuta in rapporto a quanto annunciato ieri dal giornale britannico; difatti la prima fonte d’informazione è il quotidiano “The Sun”. Nell’agenzia di notizie TELAM, in quella data, si argomenta che la cancelleria è a conoscenza della situazione e cita: “Fonti ufficiali della Cancelleria argentina sono state informate dell’invio di aerei della Forza Aerea britannica nelle Isole Malvine, hanno deplorato “il nuovo spiegamento britannico”, e hanno aggiunto che questa scelta “è contraria alla Risoluzione 31/49 dell’Assemblea Generale dell’ONU che sollecita le due parti contendenti, riguardo alla sovranità della “Questione delle Isole Malvine”, ad astenersi nell’adottare modifiche unilaterali su tale circostanza”.

Il comportamento del Regno Unito, oltre a essere una grave provocazione nei confronti della Sovranità del popolo argentino e meritare una protesta formale dell’Argentina agli Organismi Internazionali pertinenti, rappresenta un grave inadempimento dell’Accordo firmato con il nostro paese il 15 febbraio 1990.

Per quanto sopra descritto e nell’augurarci di essere stato sufficientemente chiari, vi chiediamo, in quanto nostri rappresentanti, denunciare e abrogare il “Trattato” di Madrid per inadempimento delle disposizioni firmate da parte del Regno Unito.

Persino se prendessimo in considerazione il fatto che il “Trattato” di Madrid sia realmente un Trattato in tutti i suoi aspetti, l’abrogazione è pienamente applicabile perché così lo sancisce la CONVENZIONE DI VIENNA del 1969 nel suo articolo 1° (ratificata dall’Argentina). In seguito si trascrive questo punto:

Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sui Diritti dei Trattati (2)

60. Fine di un trattato o sospensione della sua applicazione come conseguenza della sua violazione.

1.La violazione grave di un trattato bilaterale da una delle parti autorizzerà l’altra di addurre la violazione come causa per dare per concluso il trattato o per sospendere la sua applicazione totalmente o parzialmente.

L’Argentina possiede le prove sufficienti per denunciare e abrogare l’Accordo-Trattato di Madrid per grave inadempimento dello stesso da parte del Regno Unito. È in grado di dichiararlo incostituzionale per il fatto di essere un Accordo con carattere di Trattato Internazionale e per non essere stato approvato dalla stessa Camera. Questa disposizione è presente nell’articolo 75, comma 22 della nostra Costituzione. In difetto, è prevista l’applicazione delle disposizioni della Convenzione di Vienna. Per le ragioni suesposte, vi suggeriamo denunciarlo e abrogarlo.

I giorni 27 e 28 agosto 2009 abbiamo fatto pervenire presso i vostri uffici una lettera informativa concernente il conflitto per la sovranità dei 350 migli nautici della Zona Economica Esclusiva. In quella lettera accenniamo che uno dei ragionamenti che utilizza il Regno Unito per esercitare la sua sovranità è il “Trattato di Madrid”, il quale vi abbiamo suggerito di considerare la sua abrogazione. Rileviamo con la presente l’importanza di procedere con la revoca del “Trattato” di Madrid, del Trattato di Londra, di non ammettere che la Costituzione Europea incorpori (come sta già facendo) il nostro territorio come territorio Europeo di Oltremare e chiedere formalmente alla Cancelleria argentina rendere pubblico questo testo completo della presentazione Argentina di fronte a CONVEMAR-ONU.

In altre parole, sebbene sia necessario compiere un reclamo formale nei confronti del Regno Unito e di fronte agli Organismi Internazionali pertinenti per il gesto di aver inviato 4 aerei da guerra nelle Malvine, non è sufficiente. L’Argentina deve dichiarare nullo il “Trattato” di Madrid per ben due motivi, il primo è per l’inadempimento nel quale è incorso il Regno Unito nel momento in cui non ci ha informato dell’invio delle navi con 25 giorni di preavviso. Il secondo è perché il suddetto “Trattato” Internazionale ha la facciata di un Accordo e non è stato (come lo richiede la nostra costituzione – art.75) approvato dalla Camera.

Conducendo a termine la presente lettera, citiamo la prima disposizione transitoria della Costituzione Nazionale:

“La Nazione Argentina ratifica la sua legittima e imprescrittibile sovranità nei confronti delle Isole Malvine, George del Sud e Sandwich del Sud e gli spazi marittimi e insulari correlati, giacché formano parte integrante del territorio nazionale.

Il recupero di detti territori e il pieno esercizio della sovranità, rispettando il modo di vita dei suoi abitanti e conforme ai principi del diritto internazionale, costituisce un obiettivo permanente e irrinunciabile del popolo argentino.”

Restiamo a vostra disposizione e nell’attesa di una pronta risposta, Vi salutiamo attentamente.

Dott. Hugo Rodríguez
Direttore del Gruppo di Studi Strategici Argentini (GEEA)
Associazione degli Intellettuali Nazionali Manuel Belgrano
hugo.rodriguez@asociacionbelgrano.org

(1)La notizia si trova nel seguente link; http://thesun.co.uk/sol/homepage/news/campaigns/our_boys/article2648901.ece
(2)Trattato di Vienna del 1969. Una copia dello stesso è disponibile in http://www.cajpe.org.pe/rij/bases/Sinternacioanl/convencionviena.htm, pagina della Commissione Andina dei Giuristi.

Leda Palma, Ingiurie e silenzi

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Continua il ciclo di presentazioni di libri su Palestina e  Medio Oriente presso la sede della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia: Via Baldassarre Orero, 59 (zona Casal Bertone) – Roma

mercoledì 14 ottobre  2009, alle ore 18.00 “Ingiurie e silenzi” di Leda Palma, Edizione Fermenti 2008

Presiede: – Adriana Sabbatini, Associazione “Altri Mondi”
Intervengono:

- Giovanni Franzoni, Comunità Cristiana di Base – S. Paolo

- Bassam Saleh, Per non dimenticare Sabra e Shatila

Letture di  Leda Palma – Intermezzi musicali di Peppe Frana

Conclude: – Yousef Salman, Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia

http:/www.palestinercs.org

La Democrazia in Medio Oriente

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Pubblichiamo un articolo di Giulio Brigante Colonna, ricordando ai nostri Lettori che la democrazia, in termini geopolitici, ha sempre rappresentato la sovrastruttura delle Potenze marittime. Attualmente essa costituisce la sovrastruttura ideologica ed operativa ad un tempo del cosiddetto sistema occidentale guidato da Washington e Londra.
La “democratizzazione” del Pianeta, infatti, come insegnava il teorico dello scontro di civiltà, Samuel Huntington, nel suo La Terza ondata, si traduce – attraverso le guerre di Clinton e Bush, prima e la diplomazia di Obama , oggi (cfr. il commento di T. Meyssan al discorso del Cairo del presidente Obama) – nella sostanziale espansione degli USA nell’area eurasiatica.
L’introduzione dei “valori democratici” per vie cruente e incruente nelle aree extra occidentali – oltre a evidenziare, ancora una volta, la presunzione occidentale di stampo colonialista, secondo la quale il sistema democratico sarebbe il migliore del mondo, che tutte le popolazioni del Pianeta dovrebbero, prima o poi, adottare – è chiaramente sinergica alla “geopolitica del caos” che gli USA conducono in aree considerate strategiche dal Pentagono, tra cui l’Afghanistan, il Pakistan e l’Iran.

Gli ultimi due anni hanno visto un’ondata di elezioni investire il Medio Oriente, un’area geopolitica storicamente caratterizzata da un deficit di democrazia. Nel febbraio del 2009 si sono svolte le elezioni israeliane e poi hanno seguito Libano e Iran a giugno e l’Afghanistan ad agosto, mentre nel corso del 2008 si sono altresì svolte elezioni in Pakistan ed in Iraq. Questa improvvisa propensione alla legittimazione elettorale fa sorgere qualche interrogativo di ampio respiro: la democrazia si può esportare come qualsiasi prodotto commerciale e ancora, queste elezioni dimostrano che l’area mediorientale è definitivamente democratizzata?

In Occidente la democrazia è considerata la migliore forma di governo che ha portato stabilità, benessere, progresso ed un costante miglioramento delle condizioni di vita per gran parte della popolazione. L’esperienza europea dopo la seconda guerra mondiale è il miglior esempio di democrazia all’opera: da più di cinquant’anni infatti, i Paesi europei vivono insieme in pace e prosperità. Di più, la democrazia ha dimostrato di essere la forma di governo che meglio garantisce i diritti umani. E’ però necessario ricordare che la democrazia è un processo lungo e tortuoso, che inizia ma non finisce con le elezioni ed è per questo che molti dei Paesi sopramenzionati non sono diventati democrazie da un giorno all’altro. Le democrazie compiute hanno sviluppato, negli anni, quelle istituzioni democratiche che garantiscono un corretto funzionamento delle istituzioni. La separazione dei poteri auspicata da Montesquieu, (un sistema giudiziario indipendente che garantisca l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, un parlamento che controlli l’azione del governo), la tutela delle minoranze nonchè forze armate che rispondano al governo sono alcune delle garanzie che garantiscono la vita di ogni cittadino in quelle democrazie fondate sui principi della Rivoluzione Francese. Queste istituzioni che creano i limiti di ogni moderna democrazia si sviluppano nell’arco di molti anni e non possono certamente essere imposte dall’esterno.

Per queste ragioni, fra le nazioni che abbiamo menzionato, Israele è a tutti gli effetti l’unica democrazia compiuta del Medio Oriente, una democrazia giovane, nata poco più di 50 anni fa. Il Libano non soffre di un deficit democratico, quanto della difficoltà a liberarsi dell’influenza straniera che, nel corso degli ultimi 30 anni, ha influenzato gli affari interni dello Stato attraverso l’appoggio alle diverse fazioni politiche creando grande instabilità. I principali attori in Libano sono stati e continuano ad essere la Siria, l’Iran ed Israele.  L’Iraq si sta riprendendo da una dittatura che ha mantenuto il potere attraverso la repressione brutale della maggioranza Sciita e della minoranza separatista Curda. Il Paese sta lentamente recuperando quella società civile che ha sofferto la repressione e gli anni di embargo. Da qualche anno l’Iraq sta sviluppando quelle istituzioni democratiche che sono la chiave per il proprio futuro.

Spostandoci verso l’Asia  si arriva al Pakistan, uno stato che per gran parte della propria esistenza è stato governato da una leadership militare, che ha accentrato il potere senza mai garantire quella trasparenza e alternanza che sono tipiche delle democrazie compiute. La storia del Pakistan è stata segnata dal perenne conflitto con l’India e le proprie decisioni di politica interna ed estera rispecchiano questo conflitto. La società civile pachistana svolge un ruolo rilevante, un esempio emblematico è stata la marcia per reintegrare il Giudice Supremo Iftikhar Muhammad Chaudry che nel 2007 è stato licenziato e messo agli arresti domiciliari dal Presidente Musharraf.

Concentriamoci adesso sulle recentissime elezioni Afghane ed Iraniane e vediamo cosa emerge in termini di sviluppo democratico in questi due Paesi. E’ importante ricordarsi che entrambi i Paesi sono strategicamente molto importanti per la stabilità regionale, caratteristica che li pone sotto l’attento scrutinio della comunità internazionale .

La comunità internazionale è attivamente impegnata nel nation building in Afghanistan. A tal fine, le elezioni del 20 agosto avrebbero dovuto rappresentare un caposaldo a dimostrazione dello sviluppo del Paese secondo linee democratiche. Tuttavia, le elezioni hanno gettato un ombra sull’intero processo elettorale e sulla legittimità del prossimo governo afgano. Qualche segnale positivo si è registrato, soprattutto per quel che riguarda l’affluenza alle urne, in un Paese che sta vivendo sotto la continua minaccia di attacchi da parte degli insorgenti, il dato che si attesterebbe intorno al 38,17%[1] è da considerarsi discreto. Questo numero dimostra la determinazione di tanti afgani a votare nonostante la minaccia di attacchi da parte dei Taliban. La storia di Lai Mohammed è sintomatica: essendo andato a votare il 20 agosto i Taliban lo hanno punito amputandogli orecchie e naso. Quando intervistato il sig. Mohammed ha detto che in futuro andrà di nuovo a votare in quanto suo dovere di cittadino! Queste storie sono frequenti nell’Afghanistan post 2001: cittadini affamati di democrazia che vanno incontro a grandissimi rischi pur di esercitare quelli che sono i propri diritti, come votare o andare a scuola o semplicemente uscire di casa.  L’Afghanistan è tuttavia la prova che non è possibile esportare la democrazia. Ci vorranno diversi anni perché l’Afghanistan sviluppi quelle istituzioni che garantiscano la vita democratica dei cittadini.

L’Iran è stato formalmente una Monarchia Costituzionale fino alla Rivoluzione Islamica che, nel 1979 ha imposto uno stato teocratico, centralizzato e altamente controllato. Il Paese che vantava istituzioni democratiche come il parlamento (risalente al 1906) ha sviluppato, nonostante la censura di Stato, forme limitate di democrazia come il suffragio universale ed elezioni con candidati multipli. Con queste premesse non ci si poteva aspettare grosse novità dalle elezioni dello scorso giugno. Con i candidati attentamente selezionati dalla Guardia Repubblicana nessun outsider poteva intromettersi in quello che era un discorso limitato a pochi prescelti. Tuttavia, quello che è successo dopo le elezioni è politicamente molto rilevante e ci consente di dare uno sguardo nelle dinamiche interne alla Repubblica Islamica. I brogli in favore di Ahmadinejad hanno scatenato un’ondata di proteste che ha preso il nome di “Rivoluzione verde”. Con una popolazione complessiva di 66 milioni[2], di cui due terzi sotto i 30 anni, un’alfabetizzazione del 77% e 23 milioni di utenti internet, la protesta si è presto divulgata fra i giovani, diventando una vera minaccia per il regime, che ha dovuto mobilitare le milizie paramilitari Basij per riportare l’ordine.

La censura delle autorità ed il loro controllo sulla società non sono riusciti ad evitare che un popolo dominato da giovani istruiti e ben collegati (con l’uso di internet) mostrassero al regime la loro sete di cambiamento e di democrazia. Non è forse questo il valore ultimo della democrazia, il potere alla gente?

E allora per tornare alla domanda iniziale, questa ondata di elezioni può significare che il Medio Oriente si sta democratizzando? Direi di no. Le elezioni hanno dimostrato, una volta di più, come  siano un potente mezzo in mano ai cittadini che possono esternare il loro dissenso determinando reazioni incontrollabili anche la dove i risultati sono influenzati dai regimi.

L’Amministrazione Bush ha inseguito una politica mirata a portare la democrazia in Medio Oriente. A tal fine, i regimi mediorientali sono stati fortemente incoraggiati a tenere elezioni ed aprire i loro sistemi politici allo scrutinio degli elettori. Questo obiettivo lodevole e sacrosanto è stato tuttavia macchiato dalla politica dell’”Asse del Male” che ha portato, nel 2003, al cambio di regime in Iraq. Anche se è indubbio che molti iracheni stiano meglio adesso che sotto il regime di Saddam Hussein, la guerra del 2003 ha evidenziato i costi di questa politica in termini di violenza e destabilizzazione regionale. Costi che sono poi notevolmente aumentati per la mancanza di un impegno di nation building di lungo periodo.

Con l’arrivo di Barack Obama l’approccio USA al Medio Oriente è cambiato, diventando più pragmatico. Durante il suo intervento all’Università del Cairo lo scorso marzo, Obama ha chiarito l’appoggio americano per quei valori fondamentali per cui “ogni persona ambisce alla libertà di parola, la possibilità di scegliere da chi si è governati, lo stato di diritto, un governo che non ruba alla gente e le cui politiche siano trasparenti e la libertà di vivere come uno vuole. Questi non sono solo valori Americani, sono diritti umani ed è per questo che li sosterremo dovunque.”[3]

Questo tipo di pressione può innescare risvolti positivi in quelle società chiuse e governate da regimi dispotici. Tuttavia, questo non significa che la democrazia può essere esportata e applicata alle diverse realtà rappresentate da Iraq, Libano, Israele, Iran, Pakistan e Afghanistan. Quello che l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare possono fare è aiutare questi Paesi a sviluppare quelle istituzioni democratiche che rendono le società aperte, tenendo presente che questi processi sono lunghi e che non possono essere imposti con la forza.

Quando si impongono elezioni e processi democratici i risultati possono essere destabilizzanti. Un esempio è stata la pressione USA su Mahmoud Abbas (Presidente dell’ANP) per far svolgere  le elezioni parlamentari del 2006 nell’Autorità Nazionale Palestinese. Le elezioni tenute in assenza di istituzioni democratiche e in una nazione che non è ancora uno Stato hanno portato alla vittoria di Hamas. La conseguente impossibilità di quest’ultimo di formare un governo in coabitazione con Fatah ha innescato una serie di scontri che sono sfociati nella scissione dell’ANP (nel 2007). Dopo due anni e numerosi negoziati la situazione attuale vede la netta contrapposizione tra Hamas e Fatah con il primo in controllo di Gaza ed il secondo della Cisgiordania. L’aspirazione palestinese a diventare uno stato non ha tratto beneficio da questa scissione.

Le elezioni iraniane evidenziano quanto sia labile il confine fra le politiche di regime change e di engagement. Decidendo di ingaggiare la leadership Iraniana, Obama ha abbandonato il proprio sostegno ai valori che hanno ispirato la protesta dei giovani iraniani contro il proprio regime. Anche se da un punto di vista morale questa scelta risulta incoerente, la nuova politica è la migliore garanzia per i risultati di lungo periodo. Come si è visto con l’Iraq nel 2003, una politica mirata al cambio di regime inevitabilmente porta ad un congelamento delle relazioni, a maggiori tensioni regionali ed in ultima istanza alla guerra. Anche se tutti vorremmo che il Medio Oriente fosse governato in democrazia, la democratizzazione è un processo che richiede tempo e la stabilità nel breve periodo risulta essere più importante.

Giulio Brigante Colonna è analista di geopolitica per l’area del Medio Oriente allargato. Ha conseguito un BA in International Affairs ed un Master in Relazioni Internazionali e Studi Strategico Militari presso il Centro Alti Studi per la Difesa.


[1] http://www.argoriente.it/_modules/download/download/afghanistan/rapporti/afghanistan-10-IT.pdf

[2] Dati dal: CIA World Factbook: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/ir.html

[3] US President Barack Obama speaking at Cairo University on the 4th of June 2009.

L’inevitabile multipolarismo

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Dopo il precedente articolo (Dove va il mondo?) che prendeva spunto dalle dichiarazioni di Putin (riportate in una nota di Jean Jeronimo in Où va la Russie ? Moscou, à la recherche d’une identité post-soviétique) circa la decisività della spinta nella sfera politica per la rinascita e per il ritorno della Russia sul palcoscenico mondiale (riflessione che, peraltro, ci era servita, per fornire un’ interpretazione meno superficiale di quanto viene celato dietro il paravento dello scontro di civiltà)[1] vorremmo segnalare un altro lavoro, sempre di un analista francese, che riporta concetti cruciali, sulla presente fase geopolitica, sui quali anche noi abbiamo spesso insistito.

Le riflessioni in questione, trascritte nel sito geostrategie.com, sono a firma di Aymeric Chauprade ed il titolo del pezzo è già di per sé esplicativo:  La Russie, obstacle majeur sur la route de « l’Amérique-monde » (La Russia, principale ostacolo sulla strada dell’America-mondo).

La tesi principale avanzata dall’autore è quella secondo cui gli Usa, dopo l’11 settembre 2001, non sono stati in grado di realizzare il proprio progetto di egemonismo integrale, per merito della Russia, la quale difendendo il proprio spazio vitale, coincidente con l’heartland, ha dimostrato al mondo che la fase unipolare, a guida indiscussa di una sola superpotenza, è definitivamente tramontata e non potrà più essere realizzata nei termini in cui era stata concepita dagli strateghi americani.

La Russia ha anche comprovato all’Europa che senza un’intesa preventiva con essa sul piano energetico i livelli di sviluppo tecnologico e industriale del Vecchio Continente saranno a rischio per il prossimo futuro, mentre è solo da una mutua cooperazione nei diversi ambiti sociali (e, quindi non esclusivamente, in quelli commerciali) che i partners dell’est e dell’ovest potranno proiettarsi, quali punti di snodo cruciali, nella riconfigurazione degli equilibri mondiali, inevitabilmente tendenti al multipolarismo. L’Europa sembra però non aver compreso la direzione di questi cambiamenti epocali e si ostina a seguire gli Stati Uniti nel loro progetto unipolare, ormai fallimentare, che dal lato europeo porterà ancora svantaggi politici, crisi economiche e il rischio di spingere un partner fondamentale, qual è appunto diventata la Russia, a guardare più verso Oriente che in direzione dell’occidente.

Chauprade rammenta che uno degli autori classici della geopolitica, H. Mackinder, imperniava il suo impianto teorico su una nozione chiave: quella secondo cui “le grandi dinamiche geopolitiche del pianeta si articolavano intorno al cuore del mondo (heartland), l’Eurasia”.

A sua volta, quest’ultima aveva come suo pivot centrale la Russia, nazione che dal punto di vista geostrategico, ha sempre giocato ad est un ruolo paragonabile a quello Germania in Europa. Per tale ragione solo neutralizzando Mosca diventava possibile controllare l’intera Eurasia ed esprimere un controllo assoluto su tutta l’area: “La théorie de Mackinder nous rappelle deux choses que les thalassocraties anglo-saxonnes n’ont jamais oubliées : il n’y a pas de projet européen de puissance (d’Europe puissance) sans une Allemagne forte et indépendante (or l’Allemagne reste largement sous l’emprise américaine depuis 1945) ; il n’y pas d’équilibre mon- dial face au mondialisme américain sans une Russie forte[2].”

Senza dubbio una Russia forte, politicamente indipendente ed economicamente stabile, impedisce alla potenza centrale americana di dispiegare il suo disegno di dominio incontrastato sul pianeta, facendo traballare la sua visione messianica di iperpuissance con un destino manifesto: “L’Amérique veut l’Amérique-monde; le but de sa politique étrangère, bien au- delà de la seule optimisation de ses intérêts stratégiques et économiques du pays, c’est la transformation du monde à l’image de la société américaine. L’Amérique est messianique et là est le moteur intime de sa projection de puissance. En 1941, en signant la Charte de l’Atlantique, Roosevelt et Churchill donnaient une feuille de route au rêve d’un gouvernement mondial visant à organiser une mondialisation libérale et démocratique. Jusqu’en 1947, l’Amérique aspira à la convergence avec l’URSS dans l’idée de former avec celle-ci un gouvernement mondial, et ce, mal- gré l’irréductibilité évidente des deux mondialismes américain et soviétique. Deux ans après l’effondrement européen de 1945, les Américains comprirent qu’ils ne parviendraient pas à entraîner les Soviétiques dans leur mondialisme libéral et ils se résignèrent à rétrécir géographiquement leur projet : l’atlantisme remplaça pro- visoirement le mondialisme.”[3]

Pertanto, all’indomani della caduta della cortina di ferro e del sistema socialista che dietro di questa, in isolamento dal resto del mondo, aveva stentato a svilupparsi col suo modello politico di centralizzazione statale e di economia pianificata (nulla a che vedere con il proclamato comunismo degli esordi rivoluzionari che avrebbe dovuto realizzare il sogno dell’uguaglianza sociale e della fine dello sfruttamento capitalistico) gli statunitensi sono tornati a riproporre la loro primigenia visione assolutistica di un mondo interamente sottoposto al giogo della loro autorità politica, economica, culturale, e militare.

Ma queste pretese egemoniche ammantate da un destino manifesto (Manifest Destiny) sono durate, in termini storici, l’espace d’un matin dimostrando l’eccesso di velleitarismo che si nascondeva nelle dottrine suprematiste di una nazione che nell’ultimo scorcio del XX secolo aveva realmente creduto di poter annichilire il movimento della storia.

In questa chiave fanatica vanno anche lette le fantomatiche emergenza mondiali relative all’importazione della democrazia e al terrorismo islamico, con il suo corteggio di organizzazioni internazionali dell’odio che ne incarnano il disegno, vedi Al Qaeda: “La guerre contre l’islamisme n’est que le paravent officiel d’une guerre beaucoup plus sérieuse : la guerre de l’Amérique contre les puissances eurasiatiques.”[4]

Ma il dilemma americano non ha solo la faccia fiera del rigenerato establishment russo che governa un’estensione territoriale quasi-continentale: “Après la disparition de l’URSS, il est apparu clairement aux Américains qu’une puissance continentale, par la combinaison de sa masse démographique et de son potentiel industriel, pouvait briser le projet d’Amérique-monde : la Chine. La for- midable ascension industrielle et commerciale de la Chine face à l’Amérique fait penser à la situation de l’Allemagne qui, à la veille de la Première Guerre mondiale, rattrapait et dépassait les thalassocraties anglo-saxonnes. Ce fut la cause première de la Première Guerre mondiale”[5].

Per quanto, geopoliticamente, la Cina appaia al momento più arretrata della Russia, nel senso che la sua strategia è fondamentalmente basata su un più ristretta rappresentazione economica – penetrazione e conquista dei mercati esteri accreditandosi quale “fabbrica del mondo” – il possibile saldamento di questo fattore con una più ampia visione (geo)politica impensierisce oltremodo i decisori statunitensi: “Si la Chine se hisse au tout premier rang des puissances pensent les stratèges américains, par la combinaison de sa croissance économique et de son indépen- dance géopolitique, et tout en conservant son modèle confucéen à l’abri du démo- cratisme occidental, alors c’en est fini de l’Amérique-monde. Les Américains peu- vent renoncer à leur principe de Destinée manifeste (Principle of Manifest Destiny) de 1845 ainsi qu’au messianisme de leurs pères fondateurs, fondamentalistes bi- blistes ou franc-maçons[6].”

Quando il socialismo sovietico si è de-realizzato gli americani si sono liberati di un fardello ingombrante posto sul loro cammino biblico di potenza predestinata ma hanno dovuto rapidamente concentrare le proprie energie sul contenimento della Cina. Come dice Chauprade gli statunitensi, memori degli insegnamenti di Mackinder, dopo aver distrutto le aspirazioni eurasiatiche della Germania e poi quelle dei russi, dovevano adesso fronteggiare e debellare quelle cinesi. Questi argomenti non potevano essere rivelati tal quali alla propria opinione pubblica né, tanto meno, ci si poteva aspettare un’adesione ai piani americani da parte degli alleati europei dichiarando apertamente le finalità strategiche perseguite. Per queste motivazioni sono state enfatizzate problematiche reali ma che fino a quel momento avevano avuto al massimo una dimensione regionale: “La guerre humanitaire et la guerre contre le terrorisme seraient les nouveaux prétextes servant à masquer les buts réels de la nouvelle grande guerre eurasiatique : la Chine comme cible, la Russie comme condition pour emporter la bataille. La Chine comme cible parce que seule la Chine est une puissance capable de dépasser l’Amérique dans le rang de la puissance matérielle à un horizon de vingt ans. La Russie comme condition parce que de son orientation stratégique découlera largement l’organisation du monde de demain : unipolaire ou multipolaire[7]”.

Individuata la complessiva strategia americana se ne possono analizzare adesso i singoli segmenti. Secondo l’analista francese gli americani starebbero puntando a:

– compattare un blocco transatlantico da spingere fino alle frontiere della Russia e sul lato occidentale della Cina

– stringere d’assedio la Cina controllandone le fonti di approvvigionamento energetico dalle quali dipendono le sorti del suo sviluppo economico.

– accerchiare l’impero di mezzo grazie ad alleanze con i suoi avversari secolari (indiani, vietnamiti, coreani, giapponesi, taiwanesi, etc.).

– indebolire l’equilibrio tra le grandi potenze nucleari con lo sviluppo dello scudo antimissile che, tuttavia, Obama al momento dice di non voler più impiantare (ma si tratta solo di un ripiegamento congiunturale).

– strumentalizzare i separatismi manifesti o potenziali nei diversi contesti nazionali (dalla Serbia, alla Russia, alla Cina, fino all’Indonesia e, ovviamente, al Medio-oriente arabo).

Finché al potere in Russia restava insediata la casta oligarchica eltsiniana gli americani hanno davvero sperato di poter dare forma a quell’alleanza, ad essi del tutto favorevole, che da Vladivostok arrivava fino a Vancouver, finalizzata a fortificare il loro assoluto ed indiscusso monocentrismo, secondo quanto auspicato dal Presidente Bush senior. Per questo gli americani invece di smantellare e rinunciare ai precedenti assetti militari, all’indomani della dissoluzione dell’URSS, hanno mantenuto e rafforzato la Nato, nonostante la funzione di quest’organizzazione fosse palesemente venuta meno con il disgregamento del patto di Varsavia e dei paesi che lo avevano costituito: “L’extension du bloc transatlantique est la première dimension du grand jeu eurasiatique. Les Américains ont non seulement conservé l’OTAN après la disparition du Pacte de Varsovie mais ils lui ont redonné de la vigueur : premièrement l’OTAN est passé du droit international classique (intervention uniquement en cas d’agression d’un Etat membre de l’Alliance) au droit d’ingérence. La guerre contre la Serbie, en 1999, a marqué cette transition et ce découplage entre l’OTAN et le droit international. Deuxièmement, l’OTAN a intégré les pays d’Europe centrale et d’Europe orientale. Les espaces baltique et yougoslave (Croatie, Bosnie, Kosovo) ont été intégrés à la sphère d’influence de l’OTAN. Pour étendre encore l’OTAN et resserrer l’étau autour de la Russie, les Américains ont fomenté les révolutions colorées (Géorgie en 2003, Ukraine en 2004, Kirghizstan en 2005), ces retourne- ments politiques non violents, financés et soutenus par des fondations et des ONG américaines, lesquelles visaient à installer des gouvernements anti-russes. Une fois au pouvoir, le président ukrainien pro-occidental demanda naturellement le départ de la flotte russe des ports de Crimée et l’entrée de son pays dans l’OTAN. Quant au président géorgien il devait, dès 2003, militer pour l’adhésion de son pays dans l’OTAN et l’éviction des forces de paix russes dédiées depuis 1992 à la protection des populations abkhazes et sud-ossètes[8]”. Il sogno Americano s’infrange definitivamente però con la salita al potere di una nuova classe dirigente in Russia. Su questo tema e sulla riorganizzazione politica del gigante dell’est ho scritto su un articolo che uscirà prossimamente per la rivista Eurasia. Nonostante sappiamo benissimo che certe dinamiche sono di tipo oggettivo e nascono all’interno di determinate congiunture storiche occorre, tuttavia, dare il giusto risalto ai portatori soggettivi di questi “sviluppi”, cioè agli uomini che si fanno interpreti di tali cambiamenti radicali: “En 2000, un événement considérable, peut-être le plus important depuis la fin de la Guerre froide (plus important encore que le 11 septembre 2001) se produisit pourtant : l’accession au pouvoir de Vladimir Poutine. L’un de ces retourne- ments de l’histoire qui ont pour conséquences de ramener celle-ci à ses fondamen- taux, à ses constantes. Poutine avait un programme très clair : redresser la Russie à partir du levier énergétique. Il fallait reprendre le contrôle des richesses du sous-sol des mains d’oligarques peu soucieux de l’intérêt de l’Empire. Il fallait construire de puissants opérateurs pétrolier (Rosneft) et gazier (Gazprom) russes liés à l’Etat et à sa vision stratégique. Mais Poutine ne dévoilait pas encore ses intentions quant au bras de fer américano-chinois. Il laissait planer le doute. Certains, dont je fais d’ailleurs partie puisque j’analysais à l’époque la convergence russo-américaine comme passagère et opportune (le discours américain de la guerre contre le terrorisme interdisait en effet momentanément la critique américaine à propos de l’action russe en Tchétchénie), avaient compris dès le début que Poutine reconstruirait la politique indépendante de la Russie ; d’autres pensaient au contraire qu’il serait occidentaliste. Il lui fallait en finir avec la Tchétchénie et reprendre le pétrole. La tâche était lourde. Un symp- tôme évident pourtant montrait que Poutine allait reprendre les fondamentaux de la grande politique russe : le changement favorable à l’Iran et la reprise des ventes d’armes à destination de ce pays ainsi que la relance de la coopération en matière de nucléaire civil[9]”. In sostanza, il corso politico seguito dal nuovo establishment russo ha smantellato le ambizioni eurasiatiche degli yankees. Questa sentenza storica segna la fine della strategia unipolare statunitense che non può concretarsi senza l’integrazione di Mosca nel famigerato blocco transatlantico. Quindi, nessun blocco intercontinentale a guida Usa nessuna possibilità di sbarrare il passo alla Cina e alle sue alleanze ad est. E’ questo l’ingrediente fondamentale che ha esacerbato lo squilibrio e l’instabilità mondiale favorendo l’entrata nella fase multipolare. Sebbene dopo l’11 settembre gli americani hanno creduto ancora di potersi riposizionare sullo scacchiere eurasiatico, i loro piani sono nuovamente falliti nel giro di un lustro: “Le 11 septembre 2001 offrit pourtant l’occasion aux Américains d’accélérer leur programme d’unipolarité. Au nom de la lutte contre un mal qu’il avaient eux- mêmes fabriqués, ils purent obtenir une solidarité sans failles des Européens (donc plus d’atlantisme et moins « d’Europe puissance »), un rapprochement conjonctu- rel avec Moscou (pour écraser le séparatisme tchétchéno-islamiste), un recul de la Chine d’Asie centrale face à l’entente russo-américaine dans les républiques musul- manes ex-soviétiques, un pied en Afghanistan, à l’ouest de la Chine donc et au sud de la Russie, et un retour marqué en Asie du Sud-est. Mais l’euphorie américaine en Asie centrale ne dura que quatre ans. La peur d’une révolution colorée en Ouzbékistan poussa le pouvoir ouzbek, un moment tenté de devenir la grande puissance d’Asie centrale en faisant contrepoids au grand frère russe, à évincer les Américains et à se rapprocher de Moscou. Washington per- dit alors, à partir de 2005, de nombreuses positions en Asie centrale, tandis qu’en Afghanistan, malgré les contingents de supplétifs qu’elle ponctionne à des Etats européens incapables de prendre le destin de leur civilisation en main, elle continue de perdre du terrain face à l’alliance talibano-pakistanaise, soutenue discrètement en sous-main par les Chinois qui veulent voir l’Amérique refoulée d’Asie centrale. Les Chinois, de nouveau, peuvent espérer prendre des parts du pétrole kazakh et du gaz turkmène et construire ainsi des routes d’acheminement vers leur Turkestan (le Xinjiang). Pékin tourne ses espoirs énergétiques vers la Russie qui équilibrera à l’avenir ses fournitures d’énergie vers l’Europe par l’Asie (non seulement la Chine mais aussi le Japon, la Corée du Sud, l’Inde…)[10]”.

Infine, possiamo tornare alla nostra asserzione iniziale: la Russia è certamente la nazione chiave per il dispiegamento del multipolarismo in virtù di una duplice oggettività, “posizionale” e politica, che al momento, consente al colosso dell’est di esprimere al meglio la propria potenza. Ma è, innanzitutto, la politica putiniana, fondata sulla leva energetica, che ha riportato Mosca agli antichi fasti sospingendola nelle alleanze antiegemoniche che coinvolgono ormai tanto l’America Latina (Venezuela) che il Medio-Oriente (Iran): “Cet axe est le contrepoids au pétrole et au gaz arabes conquis par l’Amérique. Washington voulait étouffer la Chine en contrôlant l’énergie. Mais si l’Amérique est en Arabie Saoudite et en Irak (1ère et 3e réserves prouvées de pétrole), elle ne contrôle ni la Russie, ni l’Iran, ni le Venezuela, ni le Kazakhstan et ces pays bien au contraire se rapprochent. Ensemble, ils sont décidés à briser la suprématie du pétrodollar, socle de la centralité du dollar dans le système économique mondial (lequel socle permet à l’Amérique de faire supporter aux Européens un déficit budgétaire colossal et de renflouer ses banques d’affaires ruinées)[11].”

Certo, la Casa Bianca (chiunque assurga al potere, sia esso democratico o repubblicano, bianco, nero giallo ecc. ecc.) non resterà a guardare lo svilupparsi di una situazione ad essa totalmente sfavorevole che rischia d’infrangere i suoi sogni egemonici o di ridimensionare la portata geopolitica delle sue aspirazioni. Per questo la pressioni sulla Russia si faranno sempre più aspre nonostante qualche apparente apertura, come ultimamente verificatosi sul sistema ABM. Tuttavia, a lungo termine, l’aggressività americana è destinata a ripresentarsi e i prodromi di questa sono già visibili nella periferia prossima russa. Queste ipotesi sono confermate, ad esempio, dallo schieramento di truppe in Georgia e dall’ingerenza crescente negli affari di molti paesi del Caucaso. Al momento il progetto più avanzato resta quello dell’installazione di due basi terrestri e una navale nel paese governato dal quisling Shakasvili. Tutto ciò sul piano militare. Ma anche sul piano geoconomico e commerciale gli americani non restano in “surplace”: “Les Américains vont tenter de développer des routes terrestres de l’énergie (oléoducs et gazoducs) alternatives à la toile russe qui est en train de s’étendre sur tout le continent eurasiatique, irri- guant l’Europe de l’Ouest comme l’Asie. [12]”.

E l’Europa come si comporta di fronte al rimescolamento degli assetti geopolitici di questa fase? Essa agisce in maniera scoordinata e quando decide di muoversi unitariamente è solo per impedire ai paesi membri di approfondire troppo i loro rapporti con Mosca per non irritare Washington. E’ quello che si è verificato, solo per citare un caso emblematico, allorché alcune imprese energetiche europee hanno stretto accordi di partenariato con le omologhe russe per gli approvvigionamenti e per l’installazione di gasdotti. Ne sa qualcosa la nostra Eni, sottoposta ad attacchi vergognosi e pretestuosi da parte delle burocrazie europee (ma purtroppo anche da parte dei poteri decotti nazionali italiani e delle loro “sponde” partitiche) che non vedono di buon occhio il SouthStream, sistema di pipelines gasiere concorrente a quello filoamericano Nabucco, sostenuto proprio dall’Ue per mero servilismo pro-Usa, essendo stata ampiamente dimostrata la non profittabilità economica di quest’ultimo progetto[13].

Ma non è sicuramente questa la via che permetterà al Vecchio Continente di poter ancora contare qualcosa nella fase multipolare in dispiegamento:“Dans ces conditions et alors que la multipolarité se met en place, les Européens feraient bien de se réveiller. La crise économique profonde dans laquelle ils semblent devoir s’enfoncer durablement conduira-t-elle à ce réveil ? C’est la conséquence positive qu’il faudrait espérer des difficultés pénibles que les peuples d’Europe vont endurer dans les décennies à venir[14].”


[1] Il c.d. scontro di civiltà sarebbe più correttamente da intendersi quale mera proiezione ideologica e “fenomenica” di un sotteso e ben più sostanziale trapasso epocale derivante dal depotenziamento di un tipo particolare di formazione sociale, quella dei funzionari privati del capitale di matrice americana, a vantaggio di una diversa tipologia riproduttiva ancora in gestazione.

[2] La teoria di Mackinder ci ricorda due cose che le talassocrazie anglosassoni non hanno mai dimenticato: non ci sono progetti europei di potenza (di Europa potente) senza una Germania forte ed indipendente (ma la Germania resta in gran parte sotto l’influenza americana dal 1945); non ci sono equilibri mondiali di fronte al mondialismo americano senza una Russia forte.

[3] L’America vuole l’America-mondo; lo scopo della sua politica estera, bene al di là della sola ottimizzazione dei suoi interessi strategici ed economici del paese, è la trasformazione del mondo a immagine della società americana. L’America è messianica ed è questo l’intimo motore della sua proiezione di potenza. Nel 1941, firmando la Carta dell’Atlantico, Roosevelt e Churchill davano un itinerario al sogno di un governo mondiale finalizzato ad organizzare una mondializzazione liberale e democratica. Fino al 1947, l’America aspirò alla convergenza con l’URSS nell’ide di formare con questa un governo mondiale, e ciò, malgrado l’irriducibilità evidente dei due mondialismi americano e sovietico. Due anni dopo il crollo europeo del 1945, gli americani capirono che non sarebbero giunti a insinuare i sovietici nel loro mondialismo liberale e si rassegnarono a restringere geograficamente il loro progetto: l’atlantismo rimpiazzerà provvisoriamente il mondialismo.

[4] La guerra contro l’islamismo è soltanto il paravento ufficiale di una guerra molto più seria: la guerra dell’America contro le potenze eurasiatiche.

[5] Dopo la scomparsa dell’URSS, è sembrato chiaramente agli americani che una potenza continentale, con la combinazione della sua massa demografica e del suo potenziale industriale, poteva rompere il progetto di America-mondo: la Cina. Il formidabile progresso industriale e commerciale della Cina di fronte all’America fa pensare alla situazione della Germania che, alla vigilia della Prima Guerra mondiale, recuperava e superava le talassocrazie anglosassoni. Fu la causa principale dello Prima Guerra mondiale.

[6] Se la Cina si issa al rango di superpotenza, pensano gli strateghi americani, grazie alla combinazione della sua crescita economica e della indipendenza geopolitica, e pur conservando il suo modello confuciano al riparo dal democratismo occidentale, allora è finita per l’America-mondo. Gli americani possono rinunciare al principio del Destino manifesto (Principle of Manifest Destiny) del 1845 e al messianismo dei loro padri fondatori, fondamentalisti biblisti o franc-maçons [vedi wikipedia alla voce corrispondente]”.

[7] La guerra umanitaria e la guerra contro il terrorismo sono i nuovi pretesti che servono a mascherare gli scopi reali delle nuova grande guerra eurasiatica: la Cina come obiettivo, la Russia come condizione per vincere la battaglia. La Cina come obiettivo perché solo la Cina è una potenza capace di scalzare l’America dai ranghi di potenza mondiale in un orizzonte di venti anni. La Russia come condizione perché dal suo orientamento strategico deriverà in gran parte l’organizzazione del mondo di domani: unipolare o multipolare.

[8] L’estensione del blocco transatlantico è la prima dimensione del grande gioco eurasiatico. Gli Americani hanno non soltanto conservato la NATO dopo la scomparsa del Patto di Varsavia ma gli hanno ridato vigore: primieramente la NATO è passata dal diritto internazionale classico (intervento soltanto in caso d’aggressione di uno Stato membro dell’alleanza) al diritto di ingerenza. La guerra contro la Serbia, nel 1999, ha segnato questa transizione e questo disaccoppiamento tra la NATO ed il diritto internazionale. In secondo luogo la NATO ha integrato i paesi dell’Europa centrale e dell’Europa orientale. Gli spazi Baltici ed iugoslavi (Croazia, Bosnia, Kosovo) sono stati integrati nella sfera  d’influenza della NATO. Per espandere ancora la NATO e attorniare la Russia, gli americani ha fomentato le rivoluzioni colorate (Georgia nel 2003, Ucraina nel 2004, Kirghisistan nel 2005), questi sovvertimenti politici non violenti, finanziati e sostenuti da fondazioni e ONGS americane, che miravano ad installare governi anti-russi. Una volta al potere, il presidente ucraino pro-occidentale chiese naturalmente la partenza della flotta russa dai porti della Crimea e l’entrata del suo paese nella NATO. Quanto al presidente georgiano egli spinse, dal 2003, per l’adesione del suo paese nella NATO e lo sfratto delle forze di pace russa dedicate dal 1992 alla protezione delle popolazioni dell’Abkhazia. e dell’Ossezia del sud.

[9] Nel 2000, un avvenimento considerevole, può darsi il più importante dalla fine della guerra fredda (più importante ancora che l’11 settembre 2001) si determinò, tuttavia: l’accesso al potere di Vladimir Putin. Uno di quei rivolgimenti della storia che hanno per conseguenza di riportare questa ai suoi fondamentali, alle sue costanti. Putin aveva un programma molto chiaro: raddrizzare la Russia a partire dalla leva energetica. Occorreva riprendere il controllo delle ricchezze del sottosuolo delle mani degli oligarchi poco preoccupati degli interessi dell’impero. Occorreva costruire forti operatori petroliferi (Rosneft) e gasieri (Gazprom) legati allo stato russo e alla sua visione strategica. Ma Putin non svelò ancora le sue intenzioni sul braccio di ferro americano-cinese. Egli lasciava crescere il dubbio. Alcuni, di cui faccio del resto parte poiché analizzavo all’epoca la convergenza russo-americana come passeggera ed opportuna (il discorso americano della guerra contro il terrorismo interdiva infatti momentaneamente la critica americana a proposito dell’azione russa in Cecenia), avevano compreso dall’inizio che Putin avrebbe ricostruito la politica indipendente della Russia; altri pensavano al contrario che sarebbe stato occidentalista. Gli occorreva chiudere con Cecenia e riprendere il petrolio. Il compito era difficile. Un sintomo chiaro tuttavia mostrava che Putin rprendeva i fondamentali della grande politica russa: il cambiamento favorevole verso l’Iran e la ripresa delle vendite di armi verso questo paese e il rilancio della cooperazione in materia di nucleare civile.

[10] L’11 settembre 2001 offrì tuttavia l’occasione agli americani di accelerare il loro programma unipolarista. In nome della lotta contro un male che aveva loro stessi fabbricato, poterono ottenere una solidarietà senza falle dagli europei (dunque più atlantismo e meno “Europa potente„), un ravvicinamento congiunturale con Mosca (per schiacciare il separatismo ceceno-islamista), un arretramento della Cina dall’Asia centrale a fronte dell’intesa russo-americana negli repubbliche musulmane ex-sovietiche, un piede in Afganistan, a ovest della Cina dunque ed a sud della Russia, ed un ritorno significativo nel Sud-est asiatico. Ma l’euforia americana in Asia centrale durò soltanto quattro anni. Il timore di una rivoluzione colorata in Uzbekistan spinse il potere uzbeko, per un momento tentato di diventare la grande potenza dell’Asia centrale facendo contrappeso al grande fratello russo, ad escludere gli americani ed à avvicinarsi a Mosca. Washington perse allora, a partire dal 2005, numerose posizioni in Asia centrale, mentre in Afganistan, malgrado i contingenti di suppletivi che spilla a stati europei incapaci di prendere in  mano il destino della loro civiltà, continua a perdere terreno di fronte all’alleanza talibano-pakistana, sostenuta discretamente sotto banco da parte dei cinesi che vogliono vedere l’America respinta dell’Asia centrale. I cinesi, nuovamente, possono  prendere parte del petrolio kazako e del gas turkmeno e costruire così vie d’istradamento verso il loro Turkestan (Xinjiang). Pechino rivolge le sue speranze energetiche verso la Russia che equilibrerà in futuro le sue forniture energetiche dall’Europa per l’Asia (non soltanto la Cina ma anche il Giappone, la Corea del Sud, l’India…)

[11] Quest’asse è il contrappeso al petrolio ed al gas arabi conquistati dall’America. Washington voleva soffocare la Cina controllando l’energia. Ma se l’America è in Arabia Saudita ed in Iraq (1° e 3° per riserve comprovate di petrolio), essa non controllale né la Russia, né l’Iran, né il Venezuela, né il Kazakhstan e questi paesi al contrario si avvicinano. Insieme, sono decisi à rompere la supremazia del petrodollaro, base della centralità del dollaro nel sistema economico mondiale (la quale base permette all’America di fare sopportare agli europei un deficit colossale e salvare le sue banche d’affari fallite).

[12] Gli americani stanno tentando di sviluppare strade dell’energia (oleodotti e gasdotti) alternativi alla trama russa che si sta estendendo su tutto il continente eurasiatico, “irrorando” anche l’Europa occidentale e l’Asia.

[13] A tal proposito riporto in nota un articolo tratto dal quotidiano Libero che svela uno degli ennesimi colpi che stanno per essere sferrati contro l’Eni, rea di essersi posizionata dalla parte sbagliata in questa guerra del gas:

L’olandese volante manovra su Eni, fonte Libero di Claudio Antonelli

Gli strani interessi del fondo Kvam

La più grande azienda italiana è sotto attacco. Domani il pressing americano sull’Eni uscirà allo scoperto. Ad agosto, le velate – nemmeno tanto – critiche di esponenti vicini ai democratici di Washington, preoccupati per l’asse del cane a sei zampe con la Libia e con la Russia. A settembre, Eric Knight, fondatore del fondo Usa Knight Vinke Asset Management, chiede in una lettera ai vertici dell’Eni lo spezzatino del gruppo. Ora Kvam decide di formalizzare i suoi suggerimenti in un incontro pubblico a Milano (domani alle 10, Hotel Four Seasons). L’obiettivo è raccogliere il consenso tra i piccoli azionisti necessario per portare avanti in assemblea la proposta vera e propria. La tesi sottostante, sostenuta da una Lex Column del Financial Times e suggerita da Knight, é che l’Eni sia un monopolio verticalmente integrato ormai anacronistico. Quindi, separarla in due tronconi potrebbe far felici gli azionisti e risolvere varie magagne, politiche e regolatorie oltre che finanziarie. Il riferimento è nel core business di Total, Bp e Shell. Da un lato aziende grosse impegnate nell’estrazione e dall’altro colossi come Gas de France, E.On e Centrica che si occupano della commercializzazione.

Gli obiettivi

Secondo il fondo Usa, dunque, separare l’upstream dal downstream creerebbe valore finanziario addirittura del 100% e comporterebbe un ritorno immediato sia per Eric knight, il fondatore di Kvam, che detiene l’uno per cento di Eni (oltre a partecipazioni in Enel e Snam Rete Gas) e per CalPers, il fondo pensionistico della California partner storico e alleato fidato di Knight in tante battaglie. Tutte sostenute da un medesimo schema: primo proporre un’operazione diretta a cambiare le strategie e la struttura della società adocchiata. Fare pressione sui vertici. Fare una campagna sui mass media per convincere grandi e piccoli azionisti. Infine chiudere la partita e monetizzare i ritorni. Negli ultimi anni il fondo ha agito così verso Hsbc, Shell e Suez. Interessante è il caso dei francesi di Suez.

Il caso Suez

Nel gennaio 2004 Knight acquisisce una quota dell’uno per cento circa , come ha fatto con Eni lo scorso anno. Nel novembre successivo scrive una lettera al board per chiedere una revisione strutturale delle attività. La richiesta principale avanzata a Suez è smembrare i conglomerati vendendo il 50% di Electrobel, fornitore di elettricità belga a un prezzo medio di 450 euro per azione. Suez rifiuta. A marzo 2005 Kvam convince 34 Comuni belgi a chiedere uno spin-off che avrebbe potenzialmente reso alle locali casse pubbliche 8 miliardi di dollari. Poi il fondo Usa sposta l’interesse sulla fusione Suez-Gdf dichiarandola iniqua e definendo sottocapitalizzata Gdf. A novembre 2006 annuncia di aver riunito 20 investitori (pari al 15% del capitale di Suez) intenzionati a bloccare la fusione. Passa un altro anno e a dicembre 2007 arriva l’offerta di Francois Pinault. Le azioni Suez a quel punto arrivano a 40 euro e Knight vende il suo pacchetto con un profitto addirittura del 100%. Insomma un metodo rodato che sicuramente vorrebbe ripetere con Eni. Anche perchè CalPers, in privato, avrebbe più volte bacchettato Knight per un semplice fatto: nel 2007 il fondo californiano ha registrato nel fondo di Knight un utile del 7,4% contro il 15,5 stimato e nel 2008 il rendimento non ha superato il 5%.

Al momento oltre all’articolo apparso sul Financial Times in cui si punta il dito sul taglio del dividendo di Eni «segno di scarsa performance» il fondo di Knight potrebbe essere il suggeritore anche di un altro articolo apparso sempre sul quotidiano londinese dedicato a Tullow Oil. La società inglese le cui licenze di estrazione ugandesi potrebbero essere d’interesse del Cane a sei zampe. Secondo il Financial Times Tullow Oil non avrebbe strategie petrolifere ma solo interessi finanziari come se volesse lasciare campo libero a operatori stranieri. A settembre anche sulla stampa italiana compaiono numerosi articoli a fonte Knight.

Così se appaiono sempre chiari gli obiettivi del fondo attivista, non sono altrettanto palesi gli interessi retrostanti.

La coppia Kvam-CalPers ha infatti in comune una segretezza praticamente blindata. Il fondo pensionistico californiano per statuto può, si legge nello Statement of Investment Policy for Corporate Governance, «In circostanze non abituali in cui gli obblighi di registrazione siano dannosi per la strategia utilizzata il personale assieme all’ufficio legale può considerare finanziariamente più vantaggioso rinunciare temporaneamente ai diritti di voto per procura di CalPers in un coinvestimento». Come dire, se si agisce di concerto con terzi tutto resta ignoto. Parimenti il fondo di Knight, che secondo indiscrezioni avrebbe in pancia circa 3 miliardi di dollari, è registrato in Delaware e quindi non ha l’obbligo di rendere noto il bilancio di fine anno. Nè le strategie a medio lungo termine.

Le lobby

A parte le rendite dirette del fondo e del partner californiano, è interessante capire chi sia Eric Raimondo Knight e quali lobby sostenga o, viceversa, abbia a sostegno. Il finanziere nato ad amsterdam nel 1959 è figlio di una olandese, Ella Vinke, discendente di una famosa famiglia di broker marittimi. E di un napoletano proveniente dalla Giamaica, Carlo Knight. Eric quarantenne prende la residenza a Napoli in via Posillipo dove ha in realtà trascorso l’infanzia. Viaggia in Campania solo per le ferie, ma è assiduo frequentatore della Svizzera. Dove, dopo aver fondato Knight Vinke &C, conosce Tito Tettamanti che lo aiuta a inserirsi nello Sterling Investment group con sede alle Isole Vergini. Qui incontra il banchiere Edoard Stern, ex direttore di Bank Stern assassinato a Ginevra nel 2005 dall’amante. Ma soprattutto conosce gli uomini di CalPers famosi per il loro potere. Sono riusciti addirittura a far togliere le Filippine dalla lista Usa delle giurisdizioni d’investimento per poi dopo poco farle rientrare. Causando un crollo del mercato di Manila di quasi un 4%. Insomma i contorni di Knight e l’attività dei suoi sostenitori non sono ben delineate, ma le elargizioni di Kvam sono al contrario chiarissime.

Un socio del fondo, il direttore indipendente Jeffrey Keil ha fatto una serie di donazioni al partito Democratico. Nel 1997 a Chris Dodd, ora capo del banking committe. Tra il 2002 e il 2004 al senatore Chuk Schumer famoso per aver votato due volte no all’impeachment di Clinton. Nel 2003 a Joe Lieberman e nel 2006 al One American Committee democratico.

[14] In queste condizioni e mentre il multipolarismo si realizza, gli europei si farebbero bene a svegliarsi. La profonda crisi economica nella quale essi sembrano affondare condurrà a questo risveglio? È l’effetto positivo che bisognerebbe augurarsi dalle difficoltà dolorose che i popoli dell’Europa sopporteranno nei decenni a venire.

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